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[BO] La Resistenza continua!


Sul palco del Pratello R’esiste, un attivista del Nodo ha letto questo discorso per ribadire le ragioni espresse nel corteo del 25 aprile
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Anche quest’anno le realtà antifasciste bolognesi hanno attraversato le strade di Bologna, dal quartiere Barca fino alla festa del Pratello R’Esiste, per gridare che il 25 aprile non è soltanto una ricorrenza. Forse un giorno lo sarà, ma non lo è ancora. Per noi la Liberazione non è solo un evento del passato, ma un processo storico ancora incompiuto.

C’è una Liberazione dalla guerra, ancora tutta da compiere. Ufficialmente, «l’Italia ripudia la guerra», ma commercia e fornisce armi, bombe e proiettili a eserciti e polizie che devastano l’esistenza di milioni di persone. In Yemen, in Siria, in Afghanistan i raid aerei hanno sganciato decine di migliaia di bombe, anche fabbricate in Italia, anche sui civili. Ad esempio, solo nel 2016 il governo italiano ha autorizzato esportazioni di armamenti all’Arabia Saudita per 427 milioni di euro, di cui 411 milioni erano per bombe da lanciare nei raid aerei. E di anno in anno, i venti di guerra soffiano sempre più forte.

C’è una Liberazione dallo sfruttamento del lavoro, ancora tutta da compiere. Basti dire che ogni anno aumenta sempre più il numero dei morti sul lavoro. Nel 2017 il bollettino della violenza padronale si è chiuso con 900 morti e 600.000 infortuni sul lavoro. Ogni tanto si sente qualche parola di circostanza, i media parlano di «tragica fatalità» o di «imprevedibile disgrazia», ma in realtà è una guerra dei ricchi contro i poveri che devasta e uccide ogni giorno, sotto il velo dell’ipocrisia e del silenzio.

C’è una Liberazione dal razzismo istituzionale, ancora da compiere. Sono ormai vent’anni che la legge Turco-Napolitano e poi la Bossi-Fini hanno cercato di limitare al massimo il fenomeno immigratorio, impedendo ai migranti dall’Africa o dall’Oriente di prendere un aereo per l’Italia e costringendoli – per un costo anche dieci o quindici volte superiore – ad affidarsi a ciò che i giornali hanno chiamato, con lugubre eufemismo, i «viaggi della speranza». Per vent’anni ci sono stati naufragi e stragi in mare, violenze nei CIE, soprusi e angherie razziste nelle Questure. Quelle leggi sono costate un numero imprecisato di vite umane, forse 300.000: uomini, donne, bambini, vecchi… E oggi siamo arrivati ai campi di concentramento in Turchia e in Libia promossi e finanziati anche dall’Italia. Siamo giunti a un punto in cui le politiche neocoloniali, imperialiste e violente dell’Europa non cercano nemmeno più di passare per «azioni umanitarie» e non nascondono il fatto di essere vere e proprie guerre. Siamo al punto che salvare gente in mare diventa un reato perseguito dalla magistratura. Siamo al punto in cui il razzismo istituzionale è riuscito a passare nel senso comune, e vediamo neofascisti aggredire, accoltellare e aprire il fuoco contro i nostri fratelli e sorelle migranti nelle città dove viviamo.

C’è una Liberazione dalle discriminazioni di genere, ancora da compiere. Negli ultimi vent’anni, proprio il riaffermarsi del nazionalismo e del razzismo ha contribuito a rafforzare la cultura patriarcale, sessista e omofoba, che non tollera la libertà e l’autodeterminazione delle persone. In Italia, ogni due giorni una donna viene uccisa da un marito, o fidanzato, o convivente. E non nelle campagne povere e arretrate, ma soprattutto al Nord, nelle grandi città, dove il degrado affettivo ed esistenziale cresce accanto ai profitti dell’affarismo e della speculazione, e produce bullismo, sessismo e omofobia in fasce sempre più giovani.

C’è una Liberazione dalle violenze sull’infanzia, ancora da compiere. Oggi a pagare un prezzo altissimo di sofferenze sono sempre più bambini e ragazzi, sradicati dalle guerre, violentati dal traffico di persone, dal turismo sessuale, dall’autoritarismo e dalle violenze in famiglia.

E c’è anche una Liberazione dalla devastazione ambientale ancora da compiere, e tante altre liberazioni dall’autoritarismo e dall’oppressione per cui il 25 aprile non può essere soltanto una festa e una ricorrenza.

Ma proprio per questo oggi è importante un esercizio di memoria e anzitutto importa ricordare che in Italia non vi è mai stata una vera defascistizzazione.

Nel 1946 l’amnistia di Togliatti, con la grottesca distinzione giuridica fra «torture normali» e «sevizie particolarmente efferate», prosciolse 7106 torturatori fascisti subito reintegrati negli apparati dello Stato, proprio mentre iniziavano i processi contro chi aveva combattuto il nazifascismo.

Infatti, fra il 1946 e il 1948 numerosi processi contro i partigiani permisero una larga epurazione degli antifascisti che erano entrati nell’amministrazione statale subito dopo l’insurrezione popolare. Lentamente ma con determinazione, il democristiano De Gasperi sostituì tutti i prefetti nominati dal Comitato di Liberazione con funzionari di carriera. E nel 1948 il nuovo ministro democristiano degli Interni, Mario Scelba, epurò anche la polizia dal consistente numero di partigiani che vi erano entrati nell’aprile del 1945.

Intanto, nel 1947 la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista avevano soppresso dalla bozza della Costituzione italiana il «diritto di resistenza» cassando questo articolo:

«Quando i poteri pubblici violano le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è un diritto e un dovere del cittadino».

A differenza di Germania e Francia, la Costituzione italiana non prevede a tutt’oggi alcun «diritto di resistenza», riconosciuto invece già nella Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Anzi, dal 1947 ad oggi tanti pestaggi, torture e soprusi compiuti per strada, nelle caserme, nelle carceri sono stati spesso mascherati con l’imputazione pretestuosa di «resistenza».

A settantatré anni dalla Liberazione dal nazifascismo riteniamo che sia importante, oggi più di ieri, riaffermare con forza e vivere ogni giorno i valori che hanno motivato quella lotta di liberazione.

Oggi come allora c’è chi si batte per l’uguaglianza nell’accesso alla ricchezza, alle cure, al sapere, perché tutte e tutti abbiano una vita libera e degna. E oggi come allora gli apparati dello Stato difendono le roccaforti del privilegio, delle gerarchie, del potere. Partiti, amministrazioni locali e governo non fanno che inventarsi sempre nuove forme di sfruttamento e di precarietà, non fanno che aggravare l’emergenza abitativa a suon di sfratti, di sgomberi e restrizioni agli occupanti di casa, cercano di imbrigliare la scuola, sventrano montagne, trivellano mari, cementificano ovunque.

Ogni angolo di questo paese ha bisogno di persone che resistano e combattano. Persone che resistano alle nuove forme di schiavitù previste da una normativa che legalizza il lavoro sottopagato e rende più ricattabili le persone. Persone che contrastino l’ingiustizia sociale con la riappropriazione dal basso degli spazi inutilizzati e con l’estensione delle pratiche di autogestione. Persone che lottino contro la devastazione dell’ambiente e contro le grandi opere concepite soltanto per garantire profitti per pochi e miseria per tutti.

A settantatré anni dalla Liberazione l’antifascismo è più che mai attuale. Oggi come ieri praticare la resistenza vuol dire opporsi risolutamente alla violenza razzista, sessista e omofoba propagandata e promossa dalla destra conservatrice, dalle organizzazioni neofasciste, dagli integralismi religiosi, ma spesso avvallata anche dall’ipocrisia delle istituzioni e dei governi, con il loro grottesco cordoglio e i loro bugiardi minuti di silenzio di fronte all’ingiustizia e all’orrore.

Oggi per noi l’internazionalismo, l’antirazzismo, l’antisessismo sono punti di riferimento fondamentali di un rinnovato progetto di liberazione. Resistere vuol dire saper immaginare collettivamente un futuro diverso e migliore. La resistenza continua!

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