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Considerazioni e propositi per l’anno nuovo

Parlare della situazione odierna è diventato difficile. Mancano delle categorie comuni che permettano un confronto. E ciò è tanto più vero quando il contesto del confronto sia il mondo del lavoro.

Ma anche negli altri ambiti sociali i termini della discussione sono stranianti.

Osserviamo come normalizzazione e conformismo siano le manifestazioni più evidenti della società contemporanea. Di conseguenza i regimi politici volgono a un crescente autoritarismo che può sconfinare nel totalitarismo.

Normalizzazione e conformismo sono il prodotto dell’anomia sociale nella quale si trovano milioni di persone, soprattutto le più escluse dal protagonismo sociale. Anomia che trova la sua ragion d’essere nella materialità delle condizioni di vita: miseria, mancanza di riconoscimento della dignità dell’individuo, disciplinamento sociale per mezzo dell’ordinamento politico e del sistema di produzione.

Quali che siano i punti di osservazione, vediamo gli stessi comportamenti e le stesse desolanti prospettive. La segmentazione sociale – utile ai processi di normalizzazione – non produce soggettività. Ogni gruppo, collettivo, individualità, si trova relegato, isolato, incompreso e vive l’indifferenza del contesto sociale più ampio come inevitabile. Ciò alimenta il rancore sociale verso il resto del mondo.

Il rancore sociale è elemento costitutivo delle prospettive reazionarie. Il fascismo – oggi declinato come sovranismo e/o populismo – usa il rancore come collante di “comunità” in lotta contro altri segmenti ritenuti privilegiati. Il conservatorismo usa il rancore come minaccia per i “privilegiati” chiamandoli alla lotta contro i “rancorosi”.

E il concetto stesso di “privilegio” è sviato e manipolato essendo ogni segmento sociale contemporaneamente privilegiato o svilito (deprivato) in relazione agli altri.

La perdita di senso delle parole è, sul piano concettuale, la premessa e il risultato dell’azione di normalizzazione e conformazione dell’esistente al dominio contemporaneo.

Dividi et impera è un postulato storico del dominio.

Dīvĭdĕ et ĭmpĕrā (letteralmente “dividi e comanda”) è una locuzione latina secondo cui il migliore espediente di una tirannide o di un’autorità qualsiasi per controllare e governare un popolo è dividerlo, provocando rivalità e fomentando discordie.

Per anni la “linea” del dominio si è espressa attraverso una serie di politiche così dette neoliberiste il cui portato è stato un sostanziale immiserimento della classe operaia (privilegiata) del “nord” del mondo e di annichilimento per le popolazioni (deprivate) del “sud” del mondo. Molti hanno correttamente definito queste politiche come politiche di annientamento: sia per mezzo delle guerre e delle carestie, sia per mezzo delle politiche di tagli ai servizi ed ai salari, sia per mezzo di leggi antimigrazioni. Oltre all’annientamento fisico vi è – in termini più estesi – un annientamento esistenziale: perdita della dignità e delle possibilità di esistenza (dal salario, ai servizi sociali, alle previdenza). Il prodotto di quest’annientamento esistenziale è l’anomia.

Oggi anche gli stati “a democrazia liberale” attuano politiche stataliste non meno antiproletarie. Il cambio di passo è determinato dall’uso di una leva politico-militare anziché politico-economica.

Nel 2018 l’estrema destra ha continuato ad avanzare in tutto il mondo con il progetto di controllare e disciplinare paesi devastati dalla crisi economica, dal degrado sociale e dalla catastrofe ambientale.

Le implementazioni politiche forcaiole, giustizialiste, ordiniste, xenofobe, securitarie sono ormai la cifra dei governi di mezzo mondo. E i governi dell’altra metà del mondo non necessitano nemmeno di questi interventi avendo ormai oltrepassato la soglia del totalitarismo.

Ne è un esempio il Brasile, dove è arrivato al potere un ex militare nostalgico dei regimi fascisti sudamericani.

Ne è un esempio l’Andalusia, dove il 2 dicembre un partito di estrema destra come Vox – ostile all’immigrazione, al femminismo e all’Europa – è entrato nel parlamento regionale con l’11% dei voti. Per la prima volta dalla fine del Franchismo, l’estrema destra entra in un parlamento spagnolo.

Ne è un esempio l’Italia, dove è arrivata al potere una classe politica di ducetti senza scrupoli che spande intolleranza razzismo e ipocrisia per mascherare la loro ansia di prevaricazione e dominio.

Va da sé – non è un inciso retorico – che il risultato della situazione attuale sia il malessere.

Da anni diciamo che la crisi dell’economia capitalistica spingerà sempre più il potere a promuovere ideologie autoritarie, razziste e neofasciste per tenere buone le masse di diseredati e di emarginati. Tener buoni quelli che non riescono più a soddisfare i bisogni primari e si trovano tutt’a un tratto schiacciati dentro una vita senza prospettive e senza senso. Quelli che potrebbero giungere a vedere con più chiarezza la verità del mondo in cui viviamo.

Ed è questo il solo punto di resistenza all’autoritarismo crescente. Lo si è visto in Francia dove i Gilets jaunes hanno cacciato i neofascisti dai cortei di protesta. Lo si è visto in Ungheria dove non è bastata la propaganda patriottica e xenofoba di Victor Orbán per far accettare la «legge schiavitù» senza un’ampia contestazione sociale.

Nel 2019 sarà fondamentale impedire il saldarsi del fascismo e della miseria. Sarà decisivo portare le ragioni della rivolta e della sovversione sociale là dove il potere prova a diffondere razzismo, discriminazione e lotte fra poveri. Senza esitazione, perché viviamo già nella catastrofe e il punto di non ritorno potrebbe anche essere alle nostre spalle.

Per reindirizzare le prospettive verso il benessere occorre mettere in campo molteplici azioni.

1) Un’iniziativa di carattere culturale tendente a (ri)dare senso alle parole.

2) Un’iniziativa di carattere sociale tendente a sottrarre le individualità all’anomia.

3) Un’iniziativa di carattere organizzativo tendente a de-segmentare il sociale.

Nel quotidiano è bene continuare a resistere e opporsi alle politiche del dominio ma è evidente come tale azione sia di corto respiro senza un ribaltamento di senso.

L’antagonismo anche nelle sue espressioni più lucide ed efficaci non riesce ancora a produrre un ribaltamento di senso. Anzi rischia di essere produttore di segmentazione.

Contemporaneamente appare sempre più evidente come non ci sia spazio per ipotesi di riforma – per quanto radicale – dell’ordine delle cose. È necessario lavorare per una prospettiva rivoluzionaria che inverta la devastante direzione di marcia della società contemporanea.

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