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P38 gang: la paura scorre nelle vene mediatiche

La vicenda che ha visto la band “P38” assurgere agli onori delle cronache merita un commento; palesa l’atteggiamento generale dei media mainstream (al quale si abbevera la canea reazionaria) di censura di qualsiasi espressione difforme dai canoni del politically correct.
Titoli roboanti e denunce di varia natura (pare anche in ambito giudiziario) per censurare la libertà di espressione. Come si legge in un comunicato della band successivo al fragore mediatico, “… quando si parla di arte, e ancora più quando si parla di musica, è spesso la provocazione a scuotere gli animi, a far voltare le teste, a riuscire a rappresentare un sentimento nuovo …”; più avanti ribadiscono, “ … nei brani che passano alla radio, nelle canzoni che ascoltano i vostri figli […] vengono decantati reati ben peggiori …”.
Per chi avesse seguito le loro performance (pubblichiamo di seguito un racconto “dal di dentro”) risulterebbe chiaro come di denuncia sociale si tratti ed è questo, forse, a fare più paura che l’evocazione di un fenomeno passato come il lottarmatismo italiano.
Ci sono morti che pesano come montagne ed altri che pesano come piume si sarebbe detto in altri tempi ma questa frase, bifronte, può essere ribaltata a piacimento, in un senso o nell’altro. Le morti che denunciano i “P38” sono quelle dei tossici considerati feccia umana, quelle dei lavoratori sottopagati e senza assistenza infortunistica, quelle di una pandemia gestita solo con dispositivi securitari dove la sanità ancora aspetta una qualche sovvenzione (parlare di riqualificazione della spesa pubblica sarebbe troppo).
Noi siamo contro ogni fascismo e quindi anche contro qualsiasi tentativo di reprime la libertà di espressione.

L’ arte e la performance hanno lo scopo di creare situazione di incontro,  raccontare storie fuori da libri e giornali , stimolare input e insinuare dubbi  , creare bellezza nella complessità e nella contraddizione , prestare umilmente  voce e corpo a chi una rappresentazione non ce l’ha, plasmare desideri sconfinati in mondi onirici e reali allo stesso tempo, dissacrare il potere attraverso i suoi simboli più o meno espliciti. Ma anche, a volte per fortuna  succede, unire una comunità in un rito collettivo liberatorio e creare una sintesi tra pensiero  poetico, azione quotidiana, coscienza individuale. Se non fosse chiaro o l’ abbiamo dimenticato  meglio ricordare che: l’arte è anche schierata e per farlo  gioca con la costruzione di immaginari, narrazioni, linguaggi più o meno espliciti .
Succede che una band, P38 La Gang, comincia il suo tour del suo primo album “ nuove BR” . L’ambientazione  presente nei testi e l’ immaginario sono quelli   degli anni ’70: la democrazia cristiana al potere da troppo tempo, le Br, il Sequestro di Aldo Moro, la mafia che prende sempre più spazio politico nei piani alti, i giornalisti  che cominciamo a perdere  l’ onestà intellettuale,  per chinarsi al potere, ma anche  la coscienza di classe unita alle lotte studentesche, le possibilità  giuste o sbagliate della lotta armata, le contraddizioni , le spie.  Ma anche l’ Unione Sovietica, la dittatura, i gulag, Stalin. Tematiche che hanno indignato l’opinione pubblica, fatto piovere articoli tutti uguali e denunce per istigazione alla al terrorismo e apologia di reato.
Ci sembra il minimo, intanto , raccontare la P38 per quello che abbiamo capito e dai loro concerti.
La prima cosa da notare quando entro a Ex Centrale è la varietà umana  e di  sottoculture e culture subalterne, non mi capitava da molto tempo di vederle insieme in uno stesso spazio: ci sono i punk  di tutte le età,  i giovanissimi e le giovanissime trapper, le studenti di materie umanistiche ma non solo umanistiche e  non più studenti, i prolet di seconda e terza generazione coi vestiti firmati, attivist*  e intellettuali più o meno esposti o ritirati a vita privata, padri e madri  di famiglia che chissà che incastro si son dovuti inventare per a prendersi una serata libera e passarla proprio lì, critici musicali  (specializzati in altri generi a dire il vero) e , ovviamente, le compagne e i compagni di ogni realtà antagonista: libertari, comunist*,  transfemministe , marxisti- leninisti . Accendo una canna e la passo con l’ unico scopo di poter parlare con chi riesco a intercettare meno: i giovanissimi prolet coi vestiti firmati. Gli chiedo cosa gli piace della P38 e di quello che cantano. Mi risponde una ragazza di 19 anni dicendo che la P38 si chiama così  perché quello che dicono ti inchioda come un colpo di pistola, sono raffiche di parole:  ti costringono a fermarti per riflettere, che lei tante cose di storia e politica non le sa ma che va su wikipedia a cercare per farsi un’ idea e capire meglio cosa vogliono dire o raccontare. Già, tante cose non le sa perché è troppo giovane in un mondo dove  la coscienza di classe, la storia contemporanea e lo studio delle culture subalterne per capire il tempo e il mondo, sono state spazzate via dalle scuole, dai giornali, dalla precarietà esistenziale; gli spazi dove parlarne sono stati tutti sgomberati o costretti a fare delle convenzioni ben precise per non rischiare di perdere tutto il lavoro fatto e continuare a farlo, perché estenuati dalla quantità di denunce e repressioni; gli ultimi delle periferie e i loro problemi, gli arrabbiat* sono stati messi a tacere in un processo lento, legalitario e schiavo del neoliberismo (soprattutto al nord) o dei rapporti con la mafia (soprattutto al sud). In una città “di sinistra “ tra le più progressiste d’ Italia, come  Bologna, non si trova casa, non si trova lavoro o, se lo si trova è totalizzante dell’ esistenza. Le studenti vengono considerati solo se diligenti consumatori  (poco importa se di alcool o dell’ industria culturale) o aspiranti  produttori e riproduttori di schiavitù nel mondo, privi di pensiero critico (citiamo per fare un’ esempio solo l’ alternanza scuola- lavoro); non ci sono spazi  dove immaginare e creare altre forme e possibilità. Tutto questo è violento, non può essere normalizzato  e ci viene il dubbio che la vera istigazione alla violenza sia quella che viviamo ogni giorno dallo Stato ma che non può essere espressa se non  pagando un prezzo troppo troppo alto  che non ci possiamo permettere  in una lotta che ha come scopo un mondo diverso .
La mia amabile intervistata 19enne, ha capito che la P38 della P38 sono raffiche di parole, potenti, perché ti costringono a fermarti in  un mondo sempre più veloce che scorre con la stessa passività con cui scorriamo la barra dei social e sì, ti costringe a farti qualche domanda. Il loro stile è estremo dall’ inizio alla fine di ogni traccia in modo coerente: sia che racconti la Storia  e il potere, sia che racconti la storia degli ultimi e delle emarginate, sempre rappresentati  in uno stato attivo  ( “ ho un amico che non ha mai visto il mare, per un po’ di pane brucia la condizionale “ ; “ … ‘ste puttane danno spranghe prima a te , poi a tuo a padre” ) ma anche nell’ affrontare il rapporto  di potere uomo / donna (“io non ho problemi con le donne perche il cazzo l ho tagliato” ). E se può inorridire  un sogno dove di nuovo viene ammazzato Aldo Moro (con in rima una citazione dal film di Pasolini “La repubblica di Salò ), sappiate che anche la le tipe che leggono Freeda vengono spedite nel gulag.
Chi si occupa di critica musicale  in modo autorevole, non ha bisogno  neanche di nominarle  le Br, Aldo Moro, Stalin  o la “violenza” nei testi . Tuttavia ne fa una recensione lunga e complessa dove descrive in senso musicale perche la P38 è una tra le poche “ band hardcore di cui non se ne può piu fare a meno”. Anche nell’ intervista rilasciata al ben  più schierato quotidiano on line  Zic, si parla di molto ma mai di tutto quello di cui vengono accusati né, tantomeno, di  discorsi di odio.
I concerti della P38 sono un rito collettivo e liberatorio, dove il vero odio represso che, non vi preoccupate, abbiamo già tutti gli altri giorni dell’ anno  per quello che vediamo e subiamo quotidianamente da decenni di violenze istituzionali, strutturali  e precarietà, viene trasformato in amore i tra compagne e compagni , tra persone che per strada non guarderesti neanche  ma con cui avresti molto da dirti, abbracci  e legami simbolici ma non solo, che negli altri giorni, arrabbiati  o impegnati come siamo, neanche riusciamo più a dire o dare. Queste persone hanno in comune il bisogno di spazi di azione e di discussione, di sentire  un concerto di qualità (lo dice la critica)  senza spendere metà della loro paga settimanale, di dare una forma,  fisica  e poetica a quella rabbia che c’ è già  e non si sa più come esprimere senza essere brutalmente repressi (personalmente, lo ammetto,  avevo anche bisogno  di un momento  misto  pieno di compagni, dove, ad un certo punto il ritornello in coro, viene fatto cantare solo alle donne. Eh già , succede anche questo ai concerti della P38: che ci sono un sacco di uomini che si stanno zitti, capisco possa far paura).
E così a questo punto, i fascisti doc e km 0 tipo Galeazzo Bignami  e Lisei, incapaci e disabituati come sono a riconoscere un rito d’ amore e rabbia collettiva ma anche di capire un’opera artistica e performativa, ne approfittano chiedendo la revoca della concessione degli spazi a Ex Centrale per aver ospitato il concerto della P38, che Palazzio D’Accursio condanna ” quanto successo “ quella sera durante il concerto (non sanno che un rito è fatto anche di simboli). Noi al concerto c’ eravamo  tuttx e possiamo dimostrare che nessuno sbirro nei giorni  a seguire è stato maltrattato, nessun fascista ammazzato, nessun industriale sequestrato, nessun incappucciato a spaccare vetrine o fare una scritta sui muri, nessun’ azione terroristica  firmata da un nuovo gruppo armato. Forse ci piacerebbe ma sappiamo come le condizioni materiali non lo permettono.
A nostro avviso è decisamente più pericoloso quando il comune concede piazze e spazi pubblici (nelle  strade ma anche nei cartelloni pubblicitari comunali) a partiti più o meno espliciti di estrema destra, cattofascisti, fascisti, associazioni e gruppi che, proprio perché sono pericolosi e sanno di esserlo, non conviene mostrarsi esplicitamente estremi e provocatori: avrebbero seri problemi che li bloccherebbe nei loro piani totalitari e populisti: conviene loro un linguaggio ambiguo e celato. E’ noto da tanto tempo come  loro che istigano odio sui social, fanno propaganda populista  e inneggiano perennemente alla guerra fra poveri di ogni tipo (addirittura, in questo caso, tra spazi sociali e band che li attraversa).

Tutta la nostra solidarietà attiva va all’ Ex Centrale  per essere i ogni giorno presenti e attivi sulle lotte del territorio, per la cura nella costruzione di un rapporto costruttivo e connesso  con il quartiere e le persone che ci abitano.
Lunga vita a P38 la Gang, ai loro racconti fatti anche di nomi potenti e scomodi, che non permettono alla band di rivelarne l’identità (e di godere del successo meritato quando il concerto finisce). Denunciare le parole e l’arte come se fossero armi  (sappiamo bene chi è che si occupa delle  armi in senso letterale  e fame, non certo un gruppo trap ) è  pratica di gente ricca e dalla carriera politica decisamente ambigua  da cui bisogna tutelarsi, perché  non è certo una lotta ad armi pari.

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