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Assemblea verso il corteo del 25 aprile

Ci vediamo mercoledì 22 marzo h21 al Centro Sociale della Pace, in via del Pratello 53, per costruire insieme una testa sociale che il prossimo 25 aprile sia capace di parlare di tante diverse istanze, di aprire lo spazio a tutte le soggettività dissidenti e in lotta, per questo, per altro, per tutto!

Il 25 aprile non è una ricorrenza, ora e sempre Resistenza!

Anche quest’anno ci troviamo ad avvicinarci al 25 aprile in un momento in cui questa data ha la necessità di esprimere molto più che un semplice festeggiamento in occasione di una ricorrenza: deve essere una giornata di lotta in cui ricordare, e nel ricordo non fare passi indietro di fronte agli attacchi che subiamo quotidianamente alle nostre vite e ai nostri territori.

Il governo più a destra nella storia repubblicana, guidato da un partito che sfoggia l’infame fiamma tricolore nel simbolo, in pochi mesi non ha fatto che confermare la sua fama: abbiamo assistito a un ministro che incolpa i migranti del loro stesso naufragio mentre fa di tutto per ostacolare i soccorsi in mare, un altro che valuta misure punitive contro una preside per essersi espressa contro un pestaggio fascista davanti alla sua scuola, un terzo che, appoggiandosi a una legislazione nata emergenziale e diventata immutabile, costringe un anarchico alla tortura del 41 bis equiparandolo a un mafioso che non deve inviare ‘pizzini’ all’esterno.
È questa la nuova, contemporanea, banalità del male della banda di Meloni: come un tempo i gerarchi nazisti giustificarono le proprie azioni sostenendo di avere semplicemente ubbidito agli ordini, così la schiera dei ministri di oggi non fa altro che appellarsi a un assurdo, quanto disumano, rispetto di regole che desiderano immutabili e per le quali sono disposti a sacrificare vite umane; l’antifascismo da fondativo della nostra società odierna diventa un’opzione tra tante; l’amministrazione della giustizia è piegata a vendetta di Stato.

Vogliamo dedicare questa giornata a tutte le donne, le individualità non binarie, le soggettività LGBTQIA+ che ogni giorno si battono per una società più giusta in tutto il mondo a fianco di ogni oppressione e devastazione. Gli attacchi patriarcali strutturali a queste soggettività sono già evidenti nella forma Stato liberale, ma prendono forza e concretezza coi neofascismi, le teocrazie, gruppi reazionari religiosi, i patriarchi, nei movimenti populisti no gender, in connessione tra di loro in modo coordinato ed economicamente molto potente. Lo vediamo nei troppi Transicidi di ogni anno, nell’ aumento delle violenze alle soggettività LGBTQIA+, negli attacchi strategici e quotidiani all’ aborto, nell’ aumento dei femminicidi, nello smantellamento della sanità pubblica, nella penalizzazione e stigma del lavoro sessuale, nel togliere spazi e autonomia alle donne – centri antiviolenza compresi-, nelle proposte di legge per l’ oscenità e il decoro nello spazio pubblico, nell’impedire discorsi antifascisti e di educazione sessuale nelle scuole, nell’ inasprimento del lavoro produttivo e della repressione, nella devastazione ambientale, insomma nella negazione di qualunque autodeterminazione di una categoria oppressa. In questi anni abbiamo capito come questi discorsi riguardano e comprendono tutte le lotte, grazie alle resistenze territoriali e internazionali di queste soggettività che son state capaci di diventare movimento. Ricordiamo infatti come le filosofie femministe e le pratiche libertarie abbiano portato una rivoluzione, soprattutto culturale ma non solo, in Rojava
e nel mondo tutto. Come le compagne in Iran hanno acceso la scintilla per liberarsi di una teocrazia che colpisce tutt3, le soggettività lgbtq si sono arruolate volontarie per liberarsi di chi, come Putin, vorrebbe imporre qualunque limitazione del diritto alla loro autodeterminazione, come già succede in Russia.
Come tranfemministe antifasciste vogliamo che non vi sia più nel mondo l’autoritarismo machista, la violenza capitalista che, con l’aiuto della Chiesa, si serve di gabbie di genere per imporre i propri dogmi. Vogliamo che tutto il sistema di oppressione salti, dall’invisibilizzazione delle soggettività dissidenti, dall’imposizione binaria del genere, dalla maternità come imposizione e scopo ultimo e non come desiderio dell3 singol3, dallo stigma sulle sex workers, da chi viene schiacciato dal regime del 41bis o dalla repressione dello Stato.
Il transfemminismo e i femminismi del mondo rappresentano i nostri migliori punti di riferimento. Le lotte transfemministe rappresentano la risposta a una società che costruisce muri e impone confini, sono la risposta a una società violenta e patriarcale che uccide con costanza, che discrimina, strumentalizza e banalizza le vità di tutt3 3 oppress3/coloro che non rientrano nella unica categorazzazione possibile.

Come ogni anno, costruiremo un 25 aprile che sappia esprimere la potenza della Bologna ora e sempre partigiana, della Bologna in lotta contro ogni oppressione, e ancora più determinata oggi di fronte alla violenza di quei confini interni che anche nella nostra città minacciano le possibilità di vita, di immaginazione collettiva, di autodeterminazione: di fronte alle geometrie imposte dall’alto che tracciano confini nella nostra città, che decidono sui nostri corpi cosa può stare al centro e cosa deve essere rigettato ai margini; di fronte alle politiche dell’espulsione e dell’emergenza perenne, all’impossibilità imposta di un abitare degno, di spazi autogestiti dal basso, di dissenso contro le retoriche della precarietà e dello sfruttamento, noi rispondiamo con la potenza dei nostri corpi dissidenti e oppressi, calpestando le nostre strade e le nostre piazze come ogni giorno, come ogni anno, affermando che la Bologna partigiana non è solamente uno slogan ma un corpo collettivo e multiforme che non si fa piegare dalla repressione.
L’anno scorso la testa del nostro corteo gridava a gran voce “con i popoli oppressi, no alla vostra guerra”: ad un anno da quel momento, la situazione in cui ci troviamo a vivere è ulteriormente aggravata e noi ribadiamo la nostra vicinanza e solidarietà ai popoli che resistono in ogni parte del mondo alla violenza e alla sopraffazione imperialista, colonialista, autoritaria. Da antifascisti dobbiamo sempre prendere posizione a difesa di chi è oppresso, e cercare di allargare in ogni modo ogni spazio, anche residuale, di libertà: questo è il nostro compito e questo continueremo a fare!

La guerra ha conseguenze dirette e devastanti sulle popolazioni coinvolte direttamente nel conflitto ma anche sulle vite di chi, qui e fra noi, già prima che cadessero le prime bombe stentava ad arrivare alla fine del mese e lottava quotidianamente per la sopravvivenza e la dignità.
La narrazione del presidente del Consiglio ci vorrebbe nazione: non siamo nazione ma bensì una classe multietnica, multiculturale, internazionale. La seconda e la terza carica dello stato si fanno portatori di un revanscismo omofobo, transofobo, allergico a qualsiasi istanza intersezionale e transfemmista. Nazionalismo e reazione sono l’odierno fascismo contro il quale combattiamo quotidianamente.
Le retoriche emergenziali chiamano a gran voce e giustificano politiche di austerità e violenza estrattiva, mentre implementano confini interni ed esterni: questi “regimi” di guerra sono ciò che si abbatte come conseguenza diretta sulle nostre vite.
Per opporre all’invasione Russa dell’Ucraina un no secco, per non fare passi indietro di fronte alle politiche che in nome di essa si producono sui nostri territori. Per una pace giusta che si basi sulle aspirazioni e sull’autodeterminazione dei popoli e che tenga conto degli interessi dei lavoratori, delle donne e delle persone LGBTQ+. Per opporre un no determinato alle opere inutili che vessano i nostri territori, come il passante di mezzo e i nuovi rigassificatori in progetto a Ravenna e Piombino, che al posto di una transizione ecologica non fanno che rinnovare istanze devastatrici dei territori e dei corpi che li abitano.
Per opporre un no determinato alla violenza dei confini nazionali, che ancora una volta scelgono tra migranti di serie A e di serie B imponendo una differenza che prende la forma di strage. E per opporre al contempo un no determinato anche a quelli interni, di confini, che vengono tracciati sulla linea di razza, genere e abilità all’interno delle nostre stesse città, con processi di militarizzazione ed espulsione di soggettività non conformi all’universale uomo bianco; un no determinato ai confini interni costruiti su una repressione sempre più soffocante ad ogni forma di dissenso.

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Uno bianca, fascisti e polizia due facce della stessa medaglia

Riceviamo notizia delle dichiarazioni, rese alcuni mesi fa in maniera spontanea, di Roberto Savi, uno dei componendti della banda della uno bianca.

Noi lo diciamo da sempre: fascisti e polizia sono due facce della stessa medaglia in questo paese.

Media e istituzioni hanno fin dall’inizio intrapreso una campagna per derubricare il fenomeno della banda a poche mele marce. Sappiamo benissimo invece che esiste una continuità dinastica all’interno della polizia di stato tra i dirigenti di oggi e quelli che dopo il 25 aprile vennero riabilitati e rimessi al loro posto con la complicità di Togliatti e del PCI. Con le sue dichiarazioni Roberto Savi ci dà conferma delle nostre convinzioni. La sua carriera sarebbe infatti cominciata, a quanto dice, a Rimini con la realizzazione di diversi piccoli attentati per conto delle organizzazioni neofasciste locali di cui frequentava gli ambienti.

Dal 1987 al 1994, per ben sette anni, i fratelli Savi e i loro complici hanno potuto agire impuniti e con la copertura della questura locale commettendo 24 omicidi, 102 ferimenti, 103 azioni criminali.

Da anni le famiglie delle vittime e i comitati chiedono una riapertura del caso affinchè vengano chiarite le tante zone d’ombra che circondano il caso. Crediamo che questi ulteriori sviluppi impongano questo atto dovuto nei confronti di tutte e tutti.

 

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Eh già, ancora le foibe

Anche quest’anno, per il cosiddetto “giorno del ricordo”, qualcuno cercherà attenzioni. I volti noti ma riciclati del fascismo bolognese, anche quest’anno, hanno fatto una chiamata per l’11 febbraio, dandosi appuntamento alle 18 in via D’Azeglio angolo via Farini, come al solito non solo per fare il solito revisionismo storico a cui siamo purtroppo abituat*, ma anche per fare la solita becera propaganda totalmente affine ai loro interessi ideologici e partitici che nulla hanno a che vedere con la storia in sé.
Dato il clima politico degli ultimi tempi è inutile dire quanto suoni ancora più provocatorio del solito una simile iniziativa.
Invitiamo dunque tutt* l* compagn* non solo alla massima allerta per quel giorno, ma anche a ritrovarsi per dare una risposta effettiva, e che dia un segnale chiaro:

FUORI I FASCISTI DALLE CITTÀ

Riceviamo e diffondiamo l’appello per un presidio antifascista lanciato da “Infestazioni” sabato 11 alle 17.30

Presidio antifascista Sabato 11 Febbraio – nessun spazio ai fascisti

 

 

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Non abbiamo paura

Esprimiamo la nostra solidarietà nei confronti delle compagne e dei compagni del Collettivo Universitario Autonomo colpit* dalle misure cautelari nella mattinata di ieri.

La criminalizzazione del dissenso e l’intimidazione per mezzo di strumenti repressivi preventivi sono la firma che da anni la questura di Bologna utilizza per tentare di stroncare i movimenti sociali. La nostra risposta è la solidarietà e la difesa collettiva. Non abbiamo paura della vostra violenza istituzionale e non abbiamo intenzione di rinuciare a nemmeno un briciolo della nostra libertà.

Rilanciamo l’appuntamento di questa sera ore 18.oo in piazza Verdi per la cessazione immediata delle misure cautelari e per il dissequestro immediato di SPLIT e dell’aula in via Zamboni 38.

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Bologna abbraccia il popolo curdo

Segnaliamo e rilanciamo il presidio chiamato per il 9 Gennaio 2023 alle ore 18:30 presso piazza del Nettuno in solidarietà del popolo curdo.
Dopo l’attentato avvenuto il 23 Dicembre scorso a Parigi, dove un uomo si è presentato con una pistola presso il centro culturale curdo “Ahmed Kaya”, uccidendo tre persone, Emine Kara, Sirin Aydin e Abdurrahman Kızıl; a fronte delle mosse di Erdogan il quale, dopo anni di attacchi militari, ha deciso di organizzare un incontro con la Stato Siriano per deciderne i confini, mentre il suo esercito si ritira dall’Iraq continuando, tuttavia. ad effetturare attacchini chimici contro la resistenza turca, è tempo di scendere nuovamente in piazza per sostenere e supportare la resistenza curda e il popolo curdo tutto.
May be an image of rose and text that says 'BOLOGNA ABBRACCIA IL POPOLO CURDO!'

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Dalla parte di Alfredo, contro il 41bis

Il Questore di Milano, Giuseppe Petronzi, ha negato proprio qualche giorno fa che un gruppo di compagnə anarchicə si radunasse in Piazza Duomo in solidarietà ad Alfredo Cospito. 
Nulla di sorprendente: la questura di Milano ha deliberatamente deciso di salvaguardare i festeggiamenti natalizi della borghesia milanese vietando un presidio chiamato in solidarietà ad Alfredo.
Ma facciamo un passo indietro.
L’iter carcerario di Cospito non è di certo una notizia degli ultimi mesi; difatti Alfredo sta scontando una pena detentiva da sei anni che nell’ultimo periodo, a seguito anche dell’avanzamento del processo, ha subito l’ennesimo svolta repressiva dello Stato: il 41-bis.
Nel 2013 Cospito fu condannato a dieci anni e otto mesi di carcere per aver ferito a Genova, con colpi di pistola alle gambe, il dirigente dell’Ansaldo Roberto Adinolfi. Quando era già in carcere venne accusato di aver posizionato, nella notte ​​tra 2 e 3 giugno 2006, due pacchi bomba davanti alla scuola allievi dei carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo, esplosione che non causò né morti né feriti. Con questa ulteriore accusa, Alfredo fu nuovamente sottoposto a un nuovo processo.
In sede processuale, i giudici decretarono la Fai-Fri (Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario internazionale) come associazione terroristica. Cospito e Anna Beniamino, moglie di Cospito, furono condannati rispettivamente a 20 e 16 anni di reclusione secondo l’articolo 442 del codice penale, ossia: “chiunque […] al fine di uccidere compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, come l’ergastolo. Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l’ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore ai quindici anni”. In aggiunta a suddetta sentenza, i giudici affermarono in sede di appello che fu solamente una mera casualità il fatto che l’attentato alla caserma non provocò delle vittime poiché “sarebbe stato più che sufficiente ad assicurare la presenza sul posto di personale incaricato dei primi rilievi”:
Dunque, dopo la condanna, Alfredo venne inserito nel circuito penitenziario ad alta sicurezza- circuito in cui sono riuniti i detenuti per reati di tipo associativo che sono sottoposti a sorveglianza più stretta e che prevede limitazioni ma salvaguarda alcune garanzie e diritti. Dopo sei anni di reclusione ad alta sicurezza, nel 2022, il ministero della Giustizia ha deciso di sottoporlo al regime del 41-bis senza che sia sopraggiunto un fatto nuovo atto a motivare suddetta decisione.
La ministra della Giustizia Marta Cartabia giustificò l’applicazione del 41-bis a Cospito con i «numerosi messaggi che, durante lo stato di detenzione, ha inviato a destinatari all’esterno del sistema carcerario; si tratta di documenti destinati ai propri compagni anarchici, invitati esplicitamente a continuare la lotta contro il dominio, particolarmente con mezzi violenti ritenuti più efficaci». Secondo la versione del ministero della Giustizia, dunque, Cospito non mandò quindi questi messaggi in forma segreta o nascosta, ma attraverso testi pubblicati su riviste anarchiche. Per questo, dice il suo avvocato, per impedire queste comunicazioni era sufficiente attuare un controllo più stretto sulla corrispondenza, o emettere uno specifico provvedimento per quello specifico reato.
«Invece, a sei anni di distanza dalla condanna è stata decisa l’applicazione di questo regime detentivo. Cospito è stato trasferito dal carcere di Terni, in cui era detenuto, a quello di Sassari. È il primo anarchico a cui viene applicata questa misura. Lui stesso si definisce anarchico individualista, il che è un’altra contraddizione rispetto al ruolo di capo che gli viene attribuita», dice il legale di Cospito.
La detenzione all’interno del 41-bis di Alfredo ha destato – e sta destando – numerosi dibattiti pubblici nonché numerosi presidi, manifestazioni e piazze in solidarietà ad Alfredo atti a richiedere la liberazione di Alfredo dal 41-bis e l’eliminazione di questo regime detentivo.
A tal proposito è doveroso fare una postilla a riguardo. Come tuttə sappiamo, la repressione dello Stato è strutturale e trasversale e dietro la grande maschera della salvaguardia dei cittadini e delle cittadine da “facinorosi individui”, lo Stato ha istituito dei regimi e delle voci penali atti a colpire in maniera puntuale e sistemica ə compagnə dei movimenti. In questo quadro il regime del 41-bis rientra perfettamente: pensato per attuare una serie di misure estremamente restrittive tra cui l’isolamento totale, la limitazione dell’ora d’aria (solo due ore e anch’esse in isolamento), la limitazione dei colloqui (solo con i familiari, con un vetro divisorio), il visto di controllo della posta in entrata e in uscita, la privazione di giornali e libri. L’altra misura a cui è stato sottoposto Alfredo è la possibilità che la sua pena venga tramutata in quella di ergastolo ostativo, ossia la pena senza fine prevista all’interno dell’ordinamento penitenziario italiano che “osta” a qualsiasi modificazione e che, quindi, non può essere né abbreviata né convertita in pene alternative.
Ma a cosa è dovuta questa nuova decisione? 
Va evidenziato come, nel Luglio scorso la Cassazione ha modificato l’imputazione applicando l’articolo 285 del Codice Penale, “Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage [422] nel territorio dello Stato o in una parte di esso è punito con l’ergastolo”, condannando sia Cospito che Anna Beniamino all’ergastolo.
Tra i due articoli non vige una reale differenza formale: il 285 prevede la pena all’ergastolo anche se l’attentato non ha causato vittime; inoltre, la gravità del reato rende probabile l’applicazione dell’ergastolo ostativo che interviene automaticamente anche su reati gravi escludendo in tal modo la possibilità di accedere ai benefici, a meno che non si decida di collaborare con la giustizia.
Riportiamo questo per sottolineare come lo Stato decida arbitrariamente quali sentenze dare in base alle persone coinvolte e, dunque, richiamare e/o far riferimento ai numerosi articoli del Codice Penale. Per la strage di Capaci e via d’Amelio, così come per la strage di Bologna nel 1980 che causò ben 80 vittime, venne applicato solo l’articolo 442 e cioè “strage comune”; ben diverso invece è stato mosso per la strage di Fossano che, a differenza delle stragi di cui sopra, non provocò nè morti nè feriti ed è stata ritenuta ben più grave.
A seguito di quanto emesso dalla Cassazione, sono state organizzate diverse iniziative in solidarietà e supporto di Alfredo e di tuttə ə compagnə incarceratə o che stanno scontando pene detentive all’interno del circuito del 41-bis. 
Come anarchicə e compagnə denunciamo aspramente la reclusione nel 41-bis e tutto il sistema carcerario, che altro non è se non isolazionismo violento, prodotto di una società basata sul dominio e sullo sfruttamento. Lungi dall’essere una soluzione ai problemi sociali, rappresenta una delle tante facce della violenza dello Stato. Al di là di quanto affermano istituzioni (o chi ne fa le veci) sulla necessità di “recupero” dellə detenutə alla vita sociale, queste pene evidenziano lo scarto che vige tra le classi meno abbienti e la classe dominante e come questultima tengano coloro che finiscono nella sua rete di “giustizia”: isolamento, violenza.
Nonostante la stessa Corte Costituzionale sia espressa nel 2021 dichiarando incostituzionali queste misure il “nuovo” Governo in linea con la prassi dei precedenti- ha invece ribadito la necessità dell’applicazione dell’ergastolo ostativo.
Purtroppo l’arbitrarietà della repressione non ci desta stupore alcuno, basti pensare al decreto legge “anti-rave”, oramai tramutato in legge. Nonostante la propaganda mainstream abbia creato uno story telling focalizzato sulla questione dei rave e di quanto questa nuova legge sia pensata sui suddetti, sappiamo benissimo che è solamente uno specchietto per le allodole. Nel testo della nuova legge si parla di raduni musicali e/o pensati all’intrattenimento, ma all’interno della stessa legge è stato apportata una riforma all’ergastolo ostativo. 
Da anni assistiamo all’accanimento particolare delle istituzioni repressive contro i movimenti con teoremi giudiziari sempre più fantasiosi e condanne sempre più pesanti anche per episodi di normale conflitto sociale. 
Sosteniamo la loro lotta così come tutte le lotte portate avanti dai detenuti e dalle detenute in tutte le carceri per rivendicare condizioni di esistenza meno opprimenti, per l’abolizione definitiva del 41bis e degli altri regimi di carcerazione speciale e per la chiusura del sistema carcerario tutto.

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25 NOVEMBRE CONTRO LA VIOLENZA PATRIARCALE E DI GENERE

Anche quest’anno la marea transfemminista, composta da collettvi tranfemministi, centri antiviolenza, lavorator* e operaie in lotta, donne migranti, reti di insegnanti per un’educazione liberatria e di genere, collettivi e associazioni lgbtq+, movimenti e associazioni di soggettività trans, sex worker, associazioni anticarcercerarie, gruppi in difesa di ecologia e territori, associazioni per il diritto alla casa, reti per l’autodeterminazione della salute e l’autogestione dei consultori, gruppi antifascisti intersezionali e per la rivoluzione sociale ma anche mediche, avvocate, giornaliste, scende in piazza.

Il comune denominatore che tiene unite queste realtà di tutto il terrritorio nazionale è il riconoscere la violenza di genere e patriarcale come una violenza sistemica e strutturale della società che, in modi differenti e a discrezione dei privilegi posseduti o meno, colpisce tuttə  in tutto il mondo e, in particolare, le donne, le soggettività dissidenti, migranti e sex workers.
In quest’ultimo anno siamo andatə incontro a un radicale cambiamento dell’assetto politico che ha visto Giorgia Meloni premier la quale non ha aspettato troppo per iniziare a proporre leggi che minano l’autodeterminazione delle donne e delle soggettività dissidenti. In pochi giorni, infatti, sono state proposte tre nuove leggi che ostacolano e ostruiscono il diritto all’aborto, come la proposta avanzata da Gasparri.
Non desta stupore l’avanzata sempre più evidente dei gruppi Nochoice e Provita che continuano a voler entrare all’interno dei consultori e degli ospedali per ostruire l’accesso all’IVG alle donne e/o persone con utero che desiderano non portare a termine la gravidanza; così come non destano stupore i sedicenti gruppi nazi-fascisti che scendono in piazza al grido di “BASTA STUPRI SULLE NOSTRE DONNE”, apportando la solita narrazione razzista e xenofoba.
L’attacco al diritto all’aborto che si sta mettendo sul campo in questo ultimo periodo è il chiaro esempio di come si stia cercando di minare e limitare sempre di più la libertà di autodeterminazione delle donne e delle persone con utero.

Ma questo è il campo in cui la destra italiana si colloca: nell’autoritarismo di uno Stato in linea con la deriva ultra-cattofascista europea. L’Italia di Giorgia Meloni non si è di certo sottratta e si sta ben allineando con i governi della Polonia e dell’Ungheria, degli USA e dei regimi autoritari, anche nella criminalizzazione di stili di vita considerati “devianti” all’interno di una lettura delle nuove generazioni ritenute pericolose. Un esempio esemplare della deriva autoritaria è l’urgenza con cui è stato proposto il decreto anti-rave, utilizzato strumentalmento per limitare spazi di libertà fuori dalle logiche del mercato e di agibilità politica.

Scendiamo nelle piazze per porre fine ai femminicidi che ogni anno aumentano di numero: solo nel 2022 in Italia sono avvenuti 91 femminicidi che si vanno a sommare  ai 103 dell’anno scorso e a quelli degli anni precedenti. Le molestie e le aggressioni sono all’ordine nel gorno e si consumano nel totale silenzio di un Governo che volge il suo sguardo al migrante, alle classi meno abbienti, troppo impegnato a portare avanti una lotta a favore della moralità catto-fascista che quotidianamente concima il terreno del patriarcato.

Scendiamo nelle piazze per constrastare la violenze contro le sex workers e contro lo stigma sul sex work che non poco tempo fa ha palesato ancora una volta la violenza con cui si scaglia contro le lavoratricə sessuali.

In questo quadro nazionale, scendiamo nelle piazze convintə che la lotta contro il sistema patriarcale non è slegato dalla lotta contro le guerre sui nostri corpi, sulle nostre vite e sulla libertà dei popoli. E’ per questo che mandiamo la nostra solidarietà e supporto alle compagne del Rojava e al popolo curdo che in questo momento è di nuovo sotto attacco da parte della Turchia e al popolo ucraino che sta ancora subendo gli attacchi da parte della Russia.

Per tutto questo la lotta tranfemminista, antisessista, antifascista è necessariamente una lotta intersezionale che riguarda realtà politiche e soggettività diverse. Per questo il Nodo Antifascista di Bologna invita tuttə a scendere oggi in piazza affianco alle compagne tranfemministe e nuovamente domani 26 Novembre a partecipare alla manifestazione nazionale a Roma.

 

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "BASTA GUERRE SUI NOSTRI CORPI RIVOLTA TRANSFEMMINISTA 26 NOVEMBRE ORE 14 Corteo nazionale CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE GENERE PIAZZA DELLA REPUBBLICA 27 NOVEMBRE ORE 10 Assemblea nazionale FACOLTÀ LETTERE ROMA TRE VIA ISTIENSE, 236 AULÁ MAGNA DIMENO"
 

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Nostalgia canaglia

Che dire caro Galeazzo, ce l’hai fatta. Certo ce lo aspettavamo che il governo Meloni pullulasse di volti controversi, ma che stupore quando abbiamo letto il tuo nome! Ma quanta strada hai fatto? A quanto pare pestare merde lungo la strada porta fortuna per davvero. Non ci dilunghiamo elencando tutte le figuracce che hai collezionato, sarebbe troppo facile, ma invitiamo chiunque legga a documentarsi anche qui, su Staffetta. Beh, ci mancherai, Bologna non sarà più la stessa senza il tuo fare a metà tra lo sbirresco e il martire. Però ci domandiamo: ora che hai la poltrona riuscirai a ritagliarti qualche minutino ancora per coccolare i fascistelli del bolognese quando frignano? Siamo leggermente preoccupat*, perché ora i giovini virgulti italici dovranno vedersela da soli senza le tue dirette Facebook quando le buscano dopo aver minacciato di stupro le compagne in zona universitaria. Ti mancheremo, di’ la verità. Dopotutto senza di noi zecche non avresti mica la fama di cui godi. Suvvia, su col morale, è un arrivederci, mica un addio. Noi però, intanto vogliamo ricordarti così, nella maniera in cui piace anche a te. 

Se avanzo, seguitemi!

Se muoio, vendicatemi!

Se indietreggio, non fate scherzi.

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Cento sfumature di rossobruno

L’omicidio di Jîna Amini, avvenuto a Teheran il 16 settembre di quest’anno per mano della polizia morale iraniana sta avendo un’eco mondiale. Non si tratta certo della prima donna uccisa dalle forze di repressione della Repubblica Islamica. Tuttavia, le rivolte scaturitesi ormai quasi un mese fa, non stanno dando alcun segno di affievolimento. 
Jîna era donna e kurda. In uno stato come quello della Repubblica Islamica dell’Iran, questo significa subire il doppio. Ma le rivolte nate in questi giorni non solo a Teheran, ma soprattutto in Rojhelat (la regione del Kurdistan sotto dominio iraniano), non vanno solo contro le violenze dello stato iraniano, bensì si scagliano rabbiosamente contro tutto un sistema che non è solo in Iran: il popolo kurdo è represso da più di un secolo dagli stati in cui è “spartito”, il patriarcato invece uccide con e senza l’appoggio istituzionale in tutto il mondo, nessun posto al mondo escluso. 
Tuttavia, c’è chi non solo non ha speso una sola parola sull’accaduto, ma addirittura si schiera contrariamente alle rivolte. Il perché? Semplice: le rivolte sono a guida statunitense. Non solo: Jîna non è morta per mano della polizia morale, ma ha avuto un semplice malore che le è stato fatale. Addirittura, Alessia Piperno, cittadina italiana arrestata in Iran il 28 settembre, sarebbe dei servizi segreti.
Ovviamente viene da chiedersi chi potrebbe sostenere queste teorie. I nomi principali che saltano subito fuori sono quelli di Giorgio Bianchi e del blog di news Giubbe Rosse (Bianchi, si noti bene, era candidato nelle fila di Italiana Sovrana e Popolare alle elezioni appena trascorse). Il filo conduttore tra questi due nomi? Semplice, la loro grandissima passione per la Russia di Putin. Non si tratta solo di loro, specialmente su Telegram se ne trovano a decine di canali simili (“casualmente” anche questi caratterizzati da un amore spropositato per lo zar Putin), con migliaia di iscritti ad essi. 
Il motivo per il quale hanno questa repulsione per la libertà è delle più standard: l’Iran è alleato economico della Russia e della Cina, che sono a loro volta nemici del capitalismo made in U.S.A. Poiché proprio dal paese dello zio Sam sono arrivati segnali di solidarietà (attenzione: solidarietà via social, figuriamoci aiuti concreti) alle rivolte in Iran, questi figuri hanno subito capito tutto, con una rapida occhiata: le proteste sono capeggiate da agenti della C.I.A. 
Mettersi a smontare queste idee sarebbe operazione tanto facile quanto lunga. Piuttosto, la nostra attenzione dovrebbe focalizzarsi su ben altra cosa: questi figuri stanno collezionando tra i loro accoliti sempre più persone che si definiscono “compagni e compagne”. Riducendo l’anticapitalismo e l’antimperialismo a semplice antiamericanismo si stanno sempre più avvicinando (e non solo metaforicamente!) ai fascisti nostrani rendendosi portavoce di quell’altro capitalismo imperialista, patriarcale e omotransfobico quello a guida russa. La loro logica potrebbe essere riassunta con “il nemico del mio nemico è mio amico”. Mettendosi nella posizione borderline in cui da una parte fanno i personaggi emarginati perché gli unici a dire la verità e dall’altra come i nuovi partigiani contro il sistema sostengono le logiche di quel capitalismo che si differisce solo nel non essere a guida NATO. 
I nomi, oltre a quelli appena detti, li si conosce, in quel grande circo appena concluso chiamato “campagna elettorale” sono riusciti a conquistarsi qualche fan. Anche se spesso e volentieri non li si vede fare fronte comune, è bene ricordarsi che sono presenti nelle nostre strade. È bene ricordarsi pure che non serve obbligatoriamente dichiararsi fascisti per essere tali.

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Stop all’invasione turca del Rojava!


Accogliamo e rilanciamo l’appello delle compagne curde per una mobilitazione che chieda l’interruzione immediata dell’uso di armi illegali da parte della Turchia e il ritiro immediato delle sue truppe dai territori che occupano in Rojava.

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