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Tre anni fa veniva ucciso Emmanuel Chidi Nnamdi

Oggi ricorre l’anniversario dell’omicidio di Emmanuel Chidi Nnamdi, ucciso a pugni tre anni fa dal neofascista Amedeo Mancini dopo che lo aveva ripetutamente insultato come «negro» e «scimmia africana».

Per il tribunale però non c’è stato alcun razzismo e l’assassino è stato liberato dopo pochi mesi di carcere, grazie al favore dei media, dei politici, del sindaco di Fermo, dei benpensanti locali, uniti tutti insieme nel partito del buon nome e della smemoratezza…

Quest’anno, mentre il «Comitato 5 luglio» di Fermo ha organizzato una manifestazione, l’Amministrazione comunale, che già l’anno scorso aveva negato l’affissione di una targa commemorativa, ha pensato bene di proporre, a pochi metri di distanza, cioè in Piazza del Popolo (che il sindaco e gli altrettanto raffinati assessori chiamano «il salotto buono della città»), un bel drive-in con proiezione di un film a tema, di allegre scazzottate: Altrimenti ci arrabbiamo

Né all’assessore al commercio Mauro Torresi (già Fratelli d’Italia), né al vicesindaco Francesco Trasatti (già SEL) o al sindaco Paolo Calinaro (già PD) sarà possibile domandare se ci sono o ci fanno. Appartengono infatti al partito della smemoratezza e si avvalgono in ogni occasione della facoltà di non rispondere.

Negli ultimi tre anni abbiamo visto crescere sempre più violenze, ingiustizie e razzismo. Ogni volta abbiamo creduto che si fosse toccato il fondo dell’infamia e del degrado civile. Ma violenze e ingiustizie continueranno a crescere finché non sapremo cambiare le cose e abbattere i muri della prigione sociale in cui vogliono farci vivere.

Ora e sempre resistenza quotidiana!

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Tunisia: la sindacalista Sonia Jebali ancora in sciopero della fame

Oggi come ieri… Ciò che risulta davvero imperdonabile per chi detiene il potere, è la capacità di organizzare i lavoratori contro profitto e sfruttamento. Ora e sempre resistenza!

TUNISIA: LA SINDACALISTA SONIA JEBALI ANCORA IN SCIOPERO DELLA FAME

di Gianni Sartori

Risale al 2011 la ribellione della popolazione tunisina contro Ben Ali e la conseguente sua caduta.

All’epoca, il ruolo di Sonia Jebali nella costituzione di un sindacato di base (poi con UGTT) nell’azienda aeronautica Latelec-Fouchana (filiale di Latécoère, legata a Dassault Aviation e Airbus) era stato fondamentale.

L’azione del sindacato pose un limite alle frequenti violazioni dei diritti dei lavoratori. In particolare questi richiedevano l’inquadramento delle ore supplementari, quindici giorni di congedo pagato, un aumento sostanzioso dell’aliquota oraria e un programma di inquadramento professionale.

Come da manuale la lotta sindacale scatenò la rappresaglia padronale e diversi operai e la maggior parte dei sindacalisti (soprattutto i più combattivi, ovviamente) vennero licenziati.

Ma la sacrosanta battaglia condotta dai lavoratori della Latelec acquistava intanto risonanza internazionale, soprattutto a causa di un lungo sciopero della fame di protesta. Alla fine gli operai vennero riassunti. Però non tutti i sindacalisti (sei su dieci che erano stati licenziati). Tra gli esclusi appunto Sonia Jebali, ormai finita nella “lista nera”.

Non solo. Da quel momento le divenne praticamente impossibile trovare un altro impiego in quanto ormai conosciuta e “segnata” presso tutte le aziende private della Tunisia. Afflitta da una grave malattia – non coperta dalla sanità pubblica – Sonia chiede di essere assunta dall’amministrazione statale. Per questo è nuovamente in sciopero della fame dal 17 giugno. La sua protesta, insieme a quella di un’altra compagna – Besma Mahmoudi – nella medesima situazione, si svolge presso i locali della Ligue tunisienne des droits de l’homme.

Gianni Sartori

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Afrin resiste contro l’occupazione

Riceviamo e condividiamo un aggiornamento sulla situazione di Afrin. Ora più che mai bisogna rompere il silenzio. Afrin non è sola. Il silenzio è complice.

#DefendAfrin

LE FORZE DI LIBERAZIONE DI AFRIN (HRE) CONTRO L’OCCUPAZIONE
di Gianni Sartori

Assediata, occupata, rastrellata, passata per le armi

Eppure Afrin resiste. Fin dai primi giorni dell’occupazione – marzo 2018 – resiste.

Un comunicato del 28 giugno emesso dalle HRE (Hêzên Rizgariya Efrînê) aggiornava l’opinione pubblica sulle ultime azioni di resistenza contro l’invasione turca nel Nord della Siria.

Sarebbero una quindicina (14 quelli accertati) i soldati turchi e mercenari islamici uccisi recentemente dai combattenti e dalle combattenti delle HRE nel distretto di Sherawa (Afrin). Molti altri sono stati feriti.

Due giorni prima (26 giugno), stando sempre al comunicato, le HRE avevano teso un’imboscata ad un convoglio militare che transitava nei pressi del villaggio di Basute. Un soldato turco era rimasto ucciso e sette feriti. Invece il giorno 27 la guerriglia aveva attaccato un gruppo di mercenari – al servizio della Turchia – appostati su una collina presso il villaggio di Kebashin (sempre nel distretto di Sherawa). Quattro di loro hanno perso la vita e qualche altro è rimasto ferito. Successivamente le HRE avevano attaccato i militari turchi insediati all’interno del villaggio. Da parte dell’esercito turco si sono registrate cinque vittime e un numero imprecisato di feriti.

Sempre alla fine di giugno i guerriglieri curdi hanno colpito una base militare utilizzata dagli integralisti islamici nei pressi di Kebashin e almeno tre jihadisti sono rimasti sul terreno. Contemporaneamente le HRE attaccavano un posto di polizia nel quartiere di Tirinde, nel centro di Afrin, abbattendo un altro integralista filo-turco.

Risulta particolarmente dura – e determinata – la lotta della resistenza curda contro gli integralisti integrati – di fatto – come reparti dell’esercito turco.

Ancora in febbraio – il 23 – le HRE avevano colpito con un’azione di sabotaggio alcuni veicoli militari che trasportavano miliziani islamici di Firqat al-Hamza mentre da Basufane si recavano a Birc Heyder (sempre nel distretto di Sherawa).

L’anno scorso, il 28 luglio 2018, erano state le YPG ad eliminare un esponente di grosso calibro di Feylaq Sham, altro alleato strategico di Ankara nell’occupazione di Afrin. Questo gruppo in particolare sarebbe incaricato di operare una vera e propria pulizia etnica, terrorizzando gli abitanti, in vista della sostituzione con arabi sunniti organizzati dai salafiti.

Un altro esponente di spicco, Jamal al-Zakhlool (noto anche come collaboratore del MIT, i servizi turchi) era stato eliminato dalle YPG nel maggio 2018.

Jamal al-Zakhlool si occupava della collocazione in Afrin delle milizie jihadiste che si erano ritirate dalla regione di Ghouta orientale. Con l’aiuto del MIT, aveva instaurato un clima di terrore a base di sequestri, torture, esecuzioni extragiudiziali ai danni degli autoctoni. Talvolta i parenti riuscivano – e riescono – a riavere vivi i loro cari sequestrati, ma soltanto pagando migliaia di dollari per riscattarli. Nel frattempo oltre 150mila persone sono sfollate da Afrin e molto difficilmente potranno rientrarvi.

Gianni Sartori

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Ed ecco il professor Gervasoni…

«Ha ragione Giorgia Meloni, la Sea-Watch va affondata. Quindi Sea-Watch bum bum, a meno che non si trovi un mezzo meno rumoroso».

È questo il messaggio d’odio pubblicato sui social da Marco Gervasoni, professore ordinario di Storia contemporanea all’Università degli studi del Molise, per commentare la vicenda della nave della ONG tedesca approdata a Lampedusa.

Ma chi è questo professore? Storico del PCI e del PSI, membro della Fondazione Gramsci dal 2008, membro del comitato di redazione della rivista «Mondoperaio» dal 2009, presidente della Fondazione Bettino Craxi dal 2014, si direbbe che sia uno di quei tanti professori che, prima a sinistra e poi al centro e poi…, hanno fatto carriera con cinismo, chiacchiere e politica e ora hanno capito che il vento è cambiato e potrebbero non trovare più bello e pronto un posto in Parlamento. Così il suo ultimo libro è un panegirico della Francia in nero

Farebbe pena, se non fosse un tipo umano ormai diffuso in tutti gli angoli della società italiana. E sono cose che non devono passare sotto silenzio perché nelle istigazioni alla violenza xenofoba di professori e politici crediamo vi sia una precisa responsabilità morale e civile come mandanti che sollecitano l’azione di anonimi esecutori.

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Aggressioni ai prigionieri politici e condanne a morte nelle carceri iraniane

Sabato, nella straordinaria manifestazione al fianco di Xm24 che ha portato migliaia e migliaia di persone per le strade di Bologna, un carro recava la scritta «Libertà o morte»… A qualcuno è sembrato uno slogan sopra le righe, ma è forse un buon riassunto di quel che ci troviamo di fronte…

PRIGIONIERI POLITICI IRANIANI IN SCIOPERO DELLA FAME AGGREDITI DA DETENUTI COMUNI – SU ISTIGAZIONE DELLE AUTORITÀ CARCERARIE – MENTRE UN’ALTRA DONNA CURDA VIENE CONDANNATA A MORTE

di Gianni Sartori

Arrestato e imprigionato nel luglio 2018 nel corso delle manifestazioni antiregime, Alireza Shir-Moahammd-Ali è stato poi condannato a otto anni di carcere. Il 10 giugno due detenuti comuni condannati a morte (un assassino e un trafficante di droga, due persone oltremodo ricattabili) lo hanno aggredito e colpito con una quarantina di pugnalate. Alireza, insieme ad un altro detenuto politico (Barzan Mohammadi, a sua volta ferito dai due delinquenti) era in sciopero della fame chiedendo di essere detenuto in un reparto separato. Anche l’anarchico Soheil Arabi, ugualmente in sciopero della fame e recentemente ricoverato in ospedale (dove si teme venga sottoposto all’alimentazione forzata), era stato ripetutamente percosso da prigionieri comuni.

Le aggressioni sarebbero state commissionate – e coperte – dalle autorità carcerarie. Al momento dei fatti nessuna guardia era presente nel reparto e i telefoni risultavano tutti disattivati.

Il 24 giugno la condanna a morte per Soghra Khalili (36 anni, madre di due figli) è stata confermata. La donna – curda – si trova rinchiusa nella prigione di Danandaj nel Kurdistan iraniano (Rojhelat).

L’inizio della sua detenzione risale al giugno 2012. La colpa, secondo i giudici, aver ucciso l’uomo che voleva violentarla.

Il marito, Omid Badri, ha dichiarato: “La condanna alla pena capitale risale al 2015, ma l’omicidio commesso da mia moglie era per difendere la sua dignità. Quell’uomo l’aveva molestata in continuazione, in maniera assillante, finché lei non ne ha potuto più. Tutti gli abitanti del nostro villaggio sanno bene che quella persona, Ali, aveva ugualmente molestato molte altre donne sposate”.

Forse ci sarebbe una possibile via d’uscita, ossia versare quello che viene definito “il prezzo del sangue”, ma la famiglia di Soghra non è in grado di pagare e per questo, ha spiegato suo marito “abbiamo bisogno dell’aiuto di persone generose”.

Al momento sono almeno 89 le donne impiccate durante il mandato di Rouhani. L’ultima è stata Fatemeh Nassiri, il 19 giugno 2019 nel carcere di Gohardasht.

Come in Turchia, anche in Iran i Curdi sono sottoposti a discriminazioni e vedono i loro diritti – religiosi, culturali, economici – regolarmente violati. Sono soprattutto le minoranze religiose, principalmente quelle curde, che subiscono misure atte a isolarle ed emarginarle.

Inoltre i curdi dell’Iran (circa 12 milioni) vengono discriminati in ambito lavorativo, abitativo e politico.

Gianni Sartori

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[BO] 5 e 6 luglio: Su la testa! Percorsi di antifascismo @Vag61

Dopo la bella edizione dell’anno scorso, il festival “Su la testa!” torna il 5 e 6 luglio a Vag61, in via Paolo Fabbri 110, per riflettere sui percorsi dell’antifascismo: quelli che esistono, quelli che bisogna immaginare e intraprendere.

Sulle ragioni della due giorni si può intanto leggere il documento “Percorsi di antifascismo: l’ora della dignità rischiosa” che introduce e accompagna il festival. Un invito alla riflessione e al confronto per ribadire che di fronte ai fascismi non ci si gira dall’altra parte.

Qui il programma.

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STOP! Ora e sempre al fianco di Xm24

Non staremo a scrivere l’ennesimo messaggio di solidarietà per Xm24 minacciato di sgombero STOP

Quel messaggio lo scriveremo sabato 29 giugno non con le parole, ma con i fatti STOP

Lo scriveremo con i nostri piedi e i nostri corpi prendendo parte alla manifestazione che partirà da Piazza XX Settembre alle ore 16 STOP

Invitiamo tutte e tutti a esserci STOP

STOP PD LEGA M5S FDI

STOP A OGNI FASCISMO

Nodo sociale antifascista

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Anarchico iraniano in sciopero della fame da oltre dieci giorni

Oggi abolire ovunque il carcere sarebbe davvero un’utopia ragionevole

ANARCHICO IRANIANO IN SCIOPERO DELLA FAME DA OLTRE DIECI GIORNI
di Gianni Sartori

Il militante anarchico iraniano Soheil Arabi era stato arrestato nel 2013 per aver diffuso pubblicamente un testo contro il governo di Teheran e aver contestato, sempre pubblicamente, i principi religiosi.

Condannato in un primo momento a morte, la sua pena veniva successivamente, in appello, mutata in 13 anni di prigione.

Rinchiuso nel carcere di Bozorg (Teheran), dal 15 giugno è in sciopero della fame per protestare contro le condizioni di detenzione. In particolare contro il sovraffollamento e le violenze esercitate dai secondini sui prigionieri.

A circa una settimana dall’inizio della protesta è stato trasferito, ufficialmente per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, in un reparto ospedaliero.

Non si conosce molto in merito alla situazione dei gruppi – o delle individualità – libertari in Iran. In passato si era parlato di qualche legame con gruppi ambientalisti e con organizzazioni curde.*

Ricordo che l’anno scorso, dopo l’esecuzione di due militanti curdi iraniani, alcuni anarchici greci (in particolare il gruppo denominato “Rouvikonas”) avevano protestato vigorosamente davanti all’ambasciata di Teheran in Atene. Contro la facciata dell’ambasciata era stata lanciata vernice in abbondanza e un gabbiotto della sorveglianza era stato demolito (dopo aver fatto allontanare la guardia).

Gianni Sartori

*nota1:
http://www.ainfos.ca/it/ainfos13277.html

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Orso vive! Heval Tekoşer Piling!

«Lorenzo è un buon esempio, una persona che è vissuta e morta per certi ideali, ma che non spunta dal nulla: c’è un movimento, una società civile che ha accompagnato la sua formazione, in Italia e nel Rojava. Per me è una gioia vedere tanta gente qui vicino a lui».

Alessandro, padre di Lorenzo “Orso” Orsetti

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Anche ANPI Pratello al fianco di XM24

Era il 2002 quando, in alcuni spazi dismessi dell’ex mercato ortofrutticolo di via Fioravanti 24, nasceva il centro sociale XM24. Un luogo di autogestione e di sperimentazione dal basso attraversato da migliaia e migliaia di persone e da molteplici esperienze politiche, musicali, culturali, agricole e antropologiche che hanno contribuito alla storia di questa città.

Ora, prima di consegnare la regione e forse anche la città stessa alla destra fascioleghista, il PD vorrebbe farsi almeno ricordare per la tenace e costante devastazione speculativa e securitaria del tessuto urbano di Bologna. Dopo gli sgomberi di Fuoriluogo, dell’Aula C, di Atlantide, dell’Ex Telecom… ecco ora anche l’esperienza sociale di Xm24 è minacciata di annientamento e sabato 29 giugno manifesteremo tutte e tutti contro il nulla che avanza: si partirà da Piazza XX Settembre alle ore 16:00

ANPI Pratello con XM24

La sezione Anpi del Pratello intende esprimere la propria solidarietà a XM24, presidio antifascista, fucina di idee, centro culturale e riferimento fattivo per chi necessita di accoglienza.

Comune da tempo è il programma per le iniziative che accompagnano ai festeggiamenti del 25 aprile, realizzato insieme a tutte le Realtà Antifasciste bolognesi.

XM accoglie inoltre dal suo nascere il Contest musicale antifascista e antirazzista organizzato da Anpi Pratello con Perché No! #maipiùfascismi, mettendo a disposizione spazi, attrezzature e tecnici. Traduce il messaggio dell’evento in un linguaggio differente, rilanciandolo “tra pari”, invitando gruppi di richiamo per i giovani partecipanti, aiutandoci a parlare a chi altrimenti non raggiungeremmo.

Determinante e indissolubile nodo della rete tra le realtà antifasciste bolognesi, XM è casa di tutti. Ci si respira aria di buono, di condivisione di buone pratiche, di educazione ad una cittadinanza attiva che in prima persona si fa carico di pratiche democratiche e inclusive.

Un’importante realtà costruita con costanza e pazienza, con le porte aperte al quartiere in cui insiste e alla città tutta.

Sgomberarla significa privare Bologna di un determinante luogo di incontro e collaborazione tra realtà differenti. Dove c’è sempre un posto a tavola. A patto che ci si faccia carico del lavaggio di piatto e posata, perché la buona autogestione passa anche dalla condivisione di buone pratiche. Il 29 giugno saremo con loro.

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