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Claudio Varalli e Giannino Zibecchi, assassinati da neofascisti e carabinieri

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Sono quarant’anni che Claudio Varalli e Giannino Zibecchi sono stati assassinati da neofascisti e carabinieri, nelle strade di Milano, fra il 16 e il 17 aprile del 1975.

Vi è stata una generazione che negli anni Settanta ha saputo opporsi alla violenza di Stato e alla strategia delle stragi. Anzi, che ha rifiutato lo sfruttamento, l’oppressione, la normalità borghese. Che gridava in piazza «Fascisti, padroni, per voi non c’è domani, stanno nascendo i nuovi partigiani!». Che occupava le case e diceva «La casa si prende, l’affitto non si paga».

Il 16 aprile 1975, dopo un corteo per la casa, alcuni attivisti incappano in un gruppo di estrema destra. Un neofascista di ventidue anni spara dall’interno della sua auto, poi scende e fa ancora fuoco. Claudio Varalli, studente dell’Istituto Tecnico per il Turismo, viene colpito alla nuca mentre fugge. Muore a diciassette anni.

Poi la solita storia. Un processo per omicidio che nel 1978 condanna il neofascista a dieci anni di carcere. Due anni condonati subito. Scarcerato dopo otto mesi per motivi di salute. Nel 1982 la Cassazione archivia tutto tra prescrizione e condoni.

Il 17 aprile 1975, durante il corteo per la morte di Claudio Varalli, i blindati dei carabinieri si lanciano a tutta velocità contro i manifestanti per disperdere il corteo. Sull’asfalto, travolto e ucciso da un mezzo dei carabinieri, rimane Giannino Zibecchi, ventisette anni, insegnante di educazione fisica e militante del Comitato antifascista del Ticinese.

Ed è sempre la solita storia. Il processo si aprì solo nel 1979 con tre carabinieri imputati di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento. Poi, nel 1980, l’assoluzione: i due ufficiali per non aver commesso il fatto, l’autista per insufficienza di prove. Nessuno presenta appello.

Kein Vergeben, kein Vergessen! Nessun perdono, nessun oblio! Non passeranno!

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