È noto che i social network possono trasformarsi rapidamente in una latrina di deliri razzisti, forcaioli, omofobi o sessisti. Nel carcere della Dozza muore un tossicodipendente appena arrestato e subito si accende il risentimento sul web: «Uno in meno!», «Giustizia è fatta!», e così via.
Nulla di nuovo, se non fosse che, invece di stigmatizzare l’elogio social della forca, il procuratore Valter Giovannini aggiunge al coro anche la sua voce, ben educata solo in apparenza:
«Sono sentimenti che molte persone provano e quindi devono fare riflettere. Mostrano il forte disagio e il senso di abbandono che le vittime di reati violenti, purtroppo, troppo spesso percepiscono».
In questi anni, mentre la Procura architettava continue montature contro l’antagonismo sociale considerato il nemico pubblico numero uno (1, 2, 3, 4…), Bologna e l’Emilia-Romagna sono diventate «terra di ’ndrangheta»: un’ampia area di riciclaggio di fiumi di denaro sporco e anche di spaccio mafioso di droghe nocive e pericolose per controllare una società impoverita, inquieta e senza prospettive.
È un vecchio gioco. Con una mano devastano la società e con l’altra riaffermano la «legge».
Non sorprende che la Procura di Bologna sia giunta a sponsorizzare il neofascismo…