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La storia alla Cazzullo

«Chi controlla il passato, controlla il futuro. Chi controlla il presente, controlla il passato» (George Orwell, 1984)

Si sa, ormai siamo ben oltre 1984 e il passato non viene più nemmeno riscritto o manipolato dal Potere, ma l’assenza di un futuro possibile rende sempre più evanescente anche ciò che è stato…

Non vi è infatti solo il revisionismo ideologizzato e nostalgico della destra, come ad esempio quello di tal Giorgio Gallazzi che ha pesantemente diffamato su Facebook Elio Bernardi, partigiano ucciso dai nazifascisti ancora 18enne il 17 aprile 1945, medaglia d’argento per aver salvato un compagno d’armi rimettendoci la vita. Più di settant’anni dopo…

Ma vi è anche la semplice presunzione qualunquista di chi parla a vanvera perché è ben pagato per farlo. Così, sul «Corriere della Sera» del 21 giugno 2019, tal Aldo Cazzullo ha impartito ai lettori una mirabile lezione di storia intitolata «Alpini e ventenni: la Resistenza non è una cosa rossa».

Fondata su un’inappuntabile argomentazione sillogistica, la tesi storiografica del Cazzullo è che «non tutti i partigiani erano di sinistra», e anzi, ora che sta cambiando il vento, non bisogna nemmeno più chiamarli «partigiani», ma piuttosto «patrioti» o al limite «resistenti». Perciò, secondo Cazullo, la Resistenza non fu fatta solo da «comunisti», ma anche da «alpini» e da «ventenni». Dunque, conclude Cazzullo, «l’idea della Resistenza come una cosa di sinistra è un falso storico»…

Fra un po’ ci verranno a dire che i veri antifascisti erano i fascisti. È la storia alla Cazzullo. Farebbe ridere, se non fosse la storia di milioni di morti e di una violenza che non è mai finita e che ogni giorno riprende terreno…

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[BO] mar 25 giu h.17: Una bomba contro la città di Bologna

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’invito a un incontro sullo stragismo neofascista.

Una bomba contro la nostra città. Bologna 2 agosto 1980 – Incontro con Cinzia Venturoli

Martedì 25 giugno 2019, ore 17 – Istituto Storico Parri, sala proiezioni (secondo piano), via Sant’Isaia 18, Bologna

La strage alla stazione rappresenta indubbiamente un punto di svolta nella vita e nella storia di Bologna, la città si scopre improvvisamente bersaglio di una violenza cieca, obiettivo inerme al centro di oscuri disegni, ancora oggi non del tutto svelati. Che impatto ebbe sulla nostra comunità lo scoppio della bomba nella sala d’attesa? A che punto siamo con l’accertamento delle responsabilità? Cosa vuol dire fare storia e coltivare la memoria di quel tragico evento?

Ne parliamo con Cinzia Venturoli, storica dell’Università di Bologna e collaboratrice dell’Associazione tra i famigliari delle vittime della strage alla stazione di Bologna

Conducono: Alberto Preti e Luca Pastore (Istituto Storico Parri)

Ingresso libero.

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Una lunga scia di violenza e di sangue…

Quarantaquattro anni fa a Napoli moriva Iolanda Palladino per mano neofascista. Aveva vent’anni e fu bruciata viva da una molotov lanciata il 17 giugno 1975 da un gruppo di missini della sezione «Berta», fra i quali Umberto Fiore e Giuseppe Torsi. Alcuni degli assassini, poco tempo dopo, si arruolarono fra le fila dei NAR di Fioravanti.

Ma quella scia di sangue e di dolore arriva fino all’oggi. Non c’è giorno in Europa durante il quale non vi siano violenze neofasciste e neonaziste…

È di ieri invece la notizia secondo cui un neonazista tedesco avrebbe commesso l’omicidio di Walter Lübcke, il politico della CDU assassinato il 3 giugno che si era distinto negli anni per le sue posizioni fortemente favorevoli all’accoglienza dei migranti in Germania.

E sempre ieri a Roma una decina di neofascisti ha circondato alcuni ragazzi al grido «Hai la maglietta del Cinema America, sei antifascista!» e ne è seguito un violentissimo pestaggio con pugni, bottigliate e testate.

A Trento sono comparse scritte di minaccia e svastiche sotto casa di uno studente…

A Cremona hanno picchiato un ragazzo perché aveva una sciarpa con scritto «Ama il prossimo tuo» a un comizio di Matteo Salvini…

A Bologna i militari dell’operazione «Strade sicure» aggrediscono un 29enne ghanese al grido di «Negro di merda»…

Ma quello che i media fanno vedere è solo una minima parte dell’ondata di violenza autoritaria provocata dalla destra al governo che cerca di promuovere la legge del più forte e uno sfascio senza ritorno. E a contrastarla non sarà certo il centrosinistra della legalità, delle nomine e degli affari… Ora e sempre resistenza!

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B_Side Pride 2019: orgogliosamente liber* contro razzismo, fascismo e familismo

B_Side Pride è un percorso politico aperto da alcuni mesi in città per costruire una partecipazione autonoma e autorganizzata al Bologna Pride 2019, il prossimo 22 giugno.

A cinquant’anni dalla rivolta di Stonewall, fuori dalle retoriche celebrative, c’è sempre più bisogno di un movimento di trasformazione reale che rompa con il consociativismo sfrenato del movimento mainstream e ripoliticizzi il pride a partire dai bisogni concreti e materiali delle soggettività: reddito, accesso alla salute, permesso di soggiorno, accesso a saperi e immaginari critici a scuola, nelle università e negli spazi sociali e culturali autogestiti.

Sono passati ormai cinquant’anni dalla rivolta esplosa nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 a New York quando trans, lesbiche e gay si ribellarono all’ennesima irruzione della polizia all’interno dello Stonewall Inn.

Stonewall ha segnato un luminoso punto di non ritorno: la polizia non ebbe la meglio e la rivolta proseguì nei giorni successivi crescendo d’intensità, e vinse perché seppe coinvolgere altri settori di movimento, altri soggetti discriminati, oppressi, sfruttati.

Ogni anno, nelle principali città di tutto il mondo, quei meravigliosi giorni di giugno vengono ricordati da migliaia e migliaia di persone che scendono in strada a manifestare per i diritti e la libertà di tutt*, lesbiche, gay e trans.

È la giornata dell’orgoglio e della visibilità: ricordare Stonewall per noi significa anzitutto ricordare una rivolta contro l’omofobia, il razzismo, il sessismo, l’ordine costituito, lo Stato, qualsiasi forma di oppressione e discriminazione.

Qui il documento politico di B_Side Pride ancora aperto alle adesioni di singol* e collettiv*.

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A proposito della chiusura dell’Hub Regionale Centro Mattei

Da cinque anni la città di Bologna assiste alla tragicommedia di una vecchia prigione trasformata in cosiddetto centro di primissima accoglienza, Hub Regionale, centro di smistamento per richiedenti asilo in attesa di trasferimento.

Da 5 anni l’amministrazione comunale si è felicitata e felicitata di avere – dicevano – chiuso il vecchio CIE perché non degno di un paese democratico, dicevano. Per 3 di questi 5 anni l’Hub Mattei è stato un centro di smistamento di persone che, selezionati, lavati e schedati come pacchi postali, venivano poi smistati e trasferiti in altri centri di prima accoglienza in giro per la regione.

Questo processo, veloce, delicato e importante per quanto terribile, aveva un suo senso dal momento in cui garantiva ai migranti in transito di ricevere tutti lo stesso trattamento e di avere così accesso alle procedure di richiesta di asilo, così come alle visite mediche, in modo omogeneo. Questa cosa non è garantita infatti nello stesso modo nel resto delle regioni di questo paese, e se il Centro Mattei aveva una funzione sensata, era proprio quella di uniformare tali procedure che garantivano eguale accesso al diritto di asilo a tutte e tutti.

Eppure, dal momento in cui Minniti ha firmato gli accordi con la Libia e dal conseguente arresto di sbarchi al Sud, il Mattei è passato dall’essere un Hub di transito over-affollato – ma di rapido transito per tanti – ad essere un luogo di permanenza come altri centri di accoglienza in giro per il paese. Dalla venuta di Salvini, poi, la capienza è scesa ancora, e si è arrestata intorno alle 200 persone che si sono viste costrette a rimanere mesi e mesi dietro le sbarre di quella ex prigione che parevano dovere venire giù, ma sono invece sempre lì belle luminose a ricordare loro e a noi tuttu da dove sono arrivati, e il ruolo che sono destinati a ricoprire in questo paese.

Di questi giorni è la notizia dell’imminente chiusura del Mattei che viene descritto ormai non più come un Hub, bensì come un Cas, cioè un centro di accoglienza come altri, in cui i richiedenti asilo sono tenuti a rimanere per il tempo necessario all’espletamento della propria procedura di richiesta di asilo.

La notizia della chiusura dell’Hub arriva assieme alla dichiarazione della Prefettura che intende trasferire i migranti ivi residenti a Caltanissetta, e alla contemporanea dichiarazione che 35 operatori rischierebbero il posto di lavoro. Questo ha portato a una mobilitazione da parte di questi ultimi che, cercando di fare leva sull’indignazione per questa ennesima deportazione razzista in questo paese, manifestano preoccupazione per il loro posto di lavoro.

Sono dunque scesi in piazza con un presidio, poi un ingresso in Consiglio comunale e si annuncia una assemblea per domani sera in cui si invita la cittadinanza alla partecipazione solidale, così come si invita l’assessore di turno a partecipare.

Ci sono alcune cose qui da segnalare in particolar modo:

–       Che un luogo di detenzione trasformato in ipocrita struttura di accoglienza venga chiuso dovrebbe essere una grande gioia per tuttu gli abitanti di questa città, un’occasione di festa. Da un punto di vista antirazzista e solidale con i migranti, si poteva accettarne l’esistenza nel momento in cui rimaneva un luogo di transito e di passaggio rapido. Non certo come Cas, non come luogo in cui rimanere per 3, 4, 6, 10 mesi e oltre. Nessuno dovrebbe rimanere così tanto tempo in un posto del genere! Circondato da sbarre, riempito di muffa, affollato da topi.

–       Come mai gli indignati gestori non hanno altrettanto indignatamente parlato con la stampa e i giornali quando si è trattato di denunciare le condizioni indegne in cui erano costretti a vivere i richiedenti asilo ivi accolti? Come mai non hanno mai fatto uscire e denunciato le muffe, i topi, le vergognose docce e i bagni chimici in putrefazione?… Ritenevano allora che fosse una “degna accoglienza” quella che veniva ivi offerta?

–       E come mai non hanno denunciato con altrettanta verve le numerosissime deportazioni che negli anni si sono susseguite attraverso quella struttura… quando decine e centinaia di migranti venivano bloccati alla frontiera e inviati al Mattei per essere rispediti a Taranto o negli altri Hot Spot del Sud Italia?… quelle non erano altrettanto gravi deportazioni? Eppure, negli anni il Centro Mattei è rimasto aperto proprio perché il Consorzio “L’Arcolaio” che ne ha avuta la gestione – assieme a “Laimomo” e “Mondo Donna” (e altri) – ha garantito la massima collaborazione alle forze dell’ordine nell’espletamento di queste pratiche di rastrellamento razzista e di sistematica deportazione.

Un altro tema poi preme sottolineare, ora non più sulla questione del razzismo di Stato, su cui in Italia ormai c’è poco da stupirsi e molto di cui preoccuparsi, ma riguardo alla questione posti di lavoro a rischio.

–       Come è possibile che ci siano 35 operatori a rischio posti di lavoro per l’imminente chiusura del Centro? Come mai il Consorzio “L’Arcolaio” in questione non ha attivato delle reti di tutela per i propri dipendenti prima di arrivare all’oggi?

–       Quando si legge della “repentina notizia avuta senza avvisaglie”, pare qualcosa scritto da chi vive su Marte, non certo da chi abita in Italia e legge i giornali… Sono due anni almeno che il sistema accoglienza subisce attacchi dai politici di turno e sostanziali tagli nelle strutture. Come si può essere stupiti e increduli di una cosa del genere?… Stupito è chi non sa e chi non poteva sapere…, ma i Responsabili del Consorzio e delle molte cooperative che negli anni hanno ricevuto milioni su milioni di euro per la gestione di quella struttura, non sono ingenui minorenni alla prima esperienza lavorativa. Si tratta di alcune delle cooperative più grosse della città di Bologna, ma diciamone alcune, perché anche qui non si tratta di opinioni, ma della storia: il Consorzio “L’Arcolaio” è composto da “Arca di Noé”, “Dolce”, “Open Group”, “Piccola Carovana”. Ma hanno poi partecipato alla gestione del Mattei anche “Laimomo”, “Mondo Donna”, “Piazza Grande”, “Camelot”, “Indaco”, e probabilmente altre che non conosciamo. Non si tratta per così dire di piccoli enti, piccole società, piccole associazioni. Si tratta di giganti che sono cresciuti enormemente in questi anni, e che gestiscono appalti su vari servizi in città.

–       Vorremo chiedere dunque a tutti questi enti gestori come mai sono a rischio i posti di lavoro per gli operatori e le operatrici del Centro Mattei. Come mai questi lavoratori non possono essere reintegrati in altri servizi delle stesse cooperative? Come mai sono i più fragili e meno tutelati – spesso proprio i migranti che erano stati assunti con contratti precari quando non a chiamata – a dovere pagare il rischio della perdita del lavoro?

–       Vorremmo vedere i bilanci di queste cooperative. Vorremmo vedere dove sono finiti i milioni di euro che hanno ricevuto in questi anni per gestire quella struttura infame, e vorremmo vedere come mai non ci sono soldi per i diritti dei lavoratori che hanno così volentieri sfruttato e usato.

Se c’è una cosa che è sinceramente antirazzista in questo paese, infatti, è il capitalismo e la smania di accumulazione di ricchezza dei padroni. A questi non importa nulla egualmente né dei richiedenti asilo né degli operatori. Gli è bastato riempirsi le tasche quando era il momento. Ora cercano di andarsene mantenendo la faccia pulita grazie all’indignazione: non permettiamoglielo!

Questo momento più che altri può essere utile per costruire solidarietà reale e di classe tra migranti e operatori, ma senza responsabili e gestori in mezzo. Assieme alle politiche razziste e liberticide di questo governo, il Consorzio e i suoi gestori sono gli altri responsabili della situazione che si trovano a vivere oggi richiedenti asilo e operatori.

Solo creando una reale solidarietà contro i padroni e il loro sistema di accumulo di ricchezza, sfruttamento del lavoro e segregazione di colore si potrà costruire una mobilitazione che risponda alla necessità improrogabile di una forte e autentica battaglia antirazzista in questa città e oltre.

Altrimenti, sarà solo l’ennesimo grido indignato di chi continua a chiamare accoglienza il lavarsi i denti in mezzo alla muffa e ai topi.

Ma ci dispiace, la solidarietà antirazzista non può accettare una cosa del genere. E se Salvini ci sta facendo un regalo, per una volta, prendiamo il coraggio di guardarlo in faccia: il Mattei va chiuso! Nessun essere umano dovrebbe essere accolto tra muffa e topi e blatte e scarafaggi e malattie, e così via. Nessun essere umano dovrebbe essere deportato, no. Nessuno essere umano dovrebbe perdere il lavoro, no. Ma non sarà la Prefettura a risolvere il problema, perché nella parcellizzazione dei diritti e del lavoro operata minuziosamente da questo governo e dal precedente, il welfare è stato privatizzato. È il Consorzio e tutte le cooperative coinvolte nella gestione dell’Hub il responsabile di questi licenziamenti. Per una volta, Salvini non c’entra.

I presidi andrebbero fatti sotto le sedi di queste cooperative, tanto amiche dell’amministrazione comunale di questa città. Citiamone una su tutte, “Open Group”, che fa parte del Consorzio “L’Arcolaio”, e si è appena vista assegnare uno spazio di migliaia di metri quadri, il Dumbo. Se volessero, potrebbero benissimo accogliere lì sia i migranti che gli operatori a rischio posti. Ma non lo fanno e non lo dicono. Perché a loro non interessa la decantata accoglienza degna né i diritti dei lavoratori. Interessa invece l’accumulo di ricchezza senza guardare mai il colore della pelle perché per quello no: il capitalismo dei padroni, come dicevamo, non ha problemi. E sul colore della pelle di tuttu ci specula, come su tutto il resto.

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Ilisu: un crimine ambientale di Ankara

Se si rigira la parola «sicurezza», ovunque c’è scritto sotto «devastazione»…

ILISU: UN CRIMINE AMBIENTALE DI ANKARA
di Gianni Sartori

Probabilmente quando – e se – leggerete questo appunto le acque staranno già inghiottendo definitivamente l’antica città di Hasankeyf. La diga idroelettrica di Ilisu lo richiede. Data prevista, il 10 giugno.

Questo gioiello della Storia, vecchio di 12mila anni, è in sintonia con 9 dei dieci criteri adottati dall’Unesco (ne basterebbe uno per classificarlo “patrimonio dell’Umanità”). Ma si trova – sfortunatamente vien da dire – nella regione curda di Batman (sud-est della Turchia), sottoposto quindi ad altri criteri. Quelli della politica anti-curda dei governi turchi.

Come per il Vajont e per Itoiz (Paesi Baschi) la realizzazione di questa diga comporta irreversibili danni collaterali, sia ambientali che sociali. Oltre alla scomparsa di un patrimonio archeologico insostituibile, dovremo assistere alla distruzione della biodiversità – soprattutto quella della fauna – in un’area che la stessa Turchia nel 1981 aveva classificato “zona di conservazione naturale”. E ancora: deforestazione, erosione del suolo (con possibilità di scosse per terremoti locali) e definitiva riduzione degli abitanti alla condizione di sfollati e profughi interni.

Era possibile intervenire per proteggere Hasankeyf? Domanda ormai puramente accademica, temo.

Va comunque ricordato che qui si sono sedimentati reperti e testimonianze di Sumeri, Assiri, Babilonesi, Bizantini, Omayyadi, Abbàssidi, Urtuqidi, Curdi…

I suoi oltre 5mila grotte e cavità e 300 tumuli non sono ancora stati adeguatamente esplorati e studiati, ma da ora in avanti i loro segreti, tutte le possibili scoperte e rivelazioni archeologiche, sono destinati a rimanere tali per l’eternità.

La riduzione dell’afflusso delle acque del Tigri alimenterà anche il degrado delle zone umide e delle paludi irachene, già colpite dal cambiamento climatico.

Inoltre, con questa ennesima diga – una potenziale “arma impropria di guerra” – Ankara prenderà ancora più saldamente il controllo totale delle risorse idriche e sarà in grado di ridurre alla sete – magari per ragioni geo-politiche – parte dell’Iraq.

Gianni Sartori

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[BO] sab 15 giu h.9.15: Trekking antifascista a Ca’ del Vento

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[Barcellona] Proteste contro lo sfruttamento dei lavoratori delle consegne a domicilio

La lotta dei riders è la lotta di tutti i lavoratori e le lavoratrici!


PROTESTE A BARCELLONA CONTRO LO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI DELLE CONSEGNE A DOMICILIO
di Gianni Sartori

Domenica 26 maggio, a Barcellona, oltre un centinaio di lavoratori delle consegne a domicilio, sia ciclisti che motociclisti, si sono radunati davanti alla sede della Glovo, società che si occupa appunto di consegne a domicilio. Protestavano per la morte di un loro collega travolto nella notte tra sabato e domenica da un camion e deceduto per le ferite riportate. Dopo aver bloccato la strada con una barricata, i manifestanti hanno incendiato decine di sacche gialle da portare in spalla, quelle che utilizzano per le consegne.

In particolare hanno denunciato l’alto grado di precarizzazione imposto dall’azienda. Molti dei lavoratori ingaggiati sono stranieri, non conoscono la città e nemmeno la lingua. Tuttavia per loro questo lavoro rappresenta comunque una possibilità in quanto è sufficiente possedere una bicicletta e iscriversi con 50 euro.

Mi ricorda molto – se posso inserire un ricordo personale – le “cooperative” di facchinaggio in cui ho lavorato a lungo negli anni settanta. In realtà anche allora si trattava sostanzialmente di lavoro nero (senza tutele e senza contributi) per quanto mascherato. Niente di nuovo sotto il sole. E comunque il conto resta aperto…

Gianni Sartori

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Desaparecidos, un fenomeno universale

Non si riflette forse abbastanza sul fatto che vi è gradualità fra democrazie autoritarie e stati totalitari. Oggi nel mondo vi sono sedicenti paesi «democratici» in cui le persone spariscono, o spariscono fisicamente, o vengono cancellate dalla società, o viene cancellato il loro accesso al reddito di sopravvivenza…

DESAPARECIDOS, UN FENOMENO UNIVERSALE
di Gianni Sartori

Il 25 maggio alla gare Centrale di Bruxelles si è svolto un raduno per protestare contro le sparizioni di dissidenti e oppositori politici: in Turchia, in Colombia, in Messico…

L’iniziativa si inserisce nel programma delle “Semaines internationales contre le disparitions politiques” che sono state organizzate dal 17 al 31 maggio. Nel pianeta sono migliaia e migliaia le persone scomparse dopo essere state prelevate – sequestrate – dalle forze di sicurezza o dai gruppi paramilitari e poi detenute in luoghi segreti (questo nella migliore delle ipotesi: spesso vengono eliminate, magari dopo essere state sottoposte a torture). Scopo dell’operazione: distruggere l’opposizione, terrorizzare non solo i militanti (sindacalisti, giornalisti, avvocati…) e le loro famiglie, ma l’intera società civile.

Diffondere sistematicamente e capillarmente ansia, paura, incertezza, diffidenza reciproca. E quindi stroncare sul nascere ogni vagito di dissidenza, di autorganizzazione. Un metodo ampiamente sperimentato dal Terzo Reich e adottato in gran parte del mondo; non solo nelle dittature riconosciute come tali, ma anche in paesi formalmente democratici. Pensiamo a quanto è avvenuto in anni recenti nei Paesi Baschi dove le squadre della morte parastatali hanno sequestrato vari militanti indipendentisti di sinistra come Pertur o Lasa e Zabala…

In Messico si calcola che dal 2006 le sparizioni politiche siano state oltre 30mila (trentamila!). Nel settembre 2014 la Polizia ha prelevato 43 studenti della Scuola Rurale di Ayotzinapa che si recavano ad una manifestazione.

Da allora non se n’è saputo nulla e nemmeno i loro cadaveri sono mai stati ritrovati. In Colombia le sparizioni imputabili alle forze di sicurezza o a gruppi paramilitari filogovenativi di destra, sarebbero almeno250mila. E lo stillicidio prosegue (se non è addirittura peggiorato) anche dopo i recenti accordi di pace. Ai danni di sindacalisti, indios, ecologisti…

In Turchia dal 1995 le “Madri del Sabato” si riuniscono regolarmente ogni sabato nella piazza di Galatansaray per chiedere notizie sulla sorte di centinaia di oppositori, i loro figli sequestrati dalla polizia e poi scomparsi nel nulla.

Gianni Sartori

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«Voi da che parte state?»

Secondo i media il video della manifestante che a Bologna ha gridato in faccia ai poliziotti «Voi da che parte state?» ed è stata sbattuta a terra, sarebbe diventato virale


Per rimediare il questore Gianfranco Bernabei ha dichiarato in conferenza stampa che lunedì 20 maggio l’ordine pubblico è stato «gestito nel migliore dei modi» e che in Via dell’Archiginnasio vi sarebbe stata solo una «carica di alleggerimento».

In realtà è stata l’ennesima prova delle inclinazioni inquietanti della polizia bolognese, che ha effettuato una carica lunga e violenta, in una via piuttosto stretta, senza vie di fuga e gremita di persone, tanto che la compressione dei manifestanti è stata abbastanza pericolosa e se qualcun* fosse inciampato e caduto non se la sarebbe passata bene in una calca fitta come quella. E la cosa è stata verosimilmente premeditata vista la posizione molto arretrata delle grate. Anzi, risulta assai poco chiara anche la funzione stessa delle grate, dal momento che la polizia ha manganellato duramente chi si limitava a protestare dietro di esse.

Un’altra cosa che non ha avuto alcun risalto sui media sono i toni di forte razzismo e antisemitismo del discorso di Roberto Fiore che ha parlato contro le «grandi famiglie internazionali che hanno tenuto l’Europa sotto l’usura per cinquecento anni» (?) e contro i «250.000 esponenti della mafia nigeriana» (!?) quando il totale delle persone che in Italia provengono dalla Nigeria è meno della metà di quella cifra.

A noi pare che la polizia bolognese continui a dimostrare nei fatti da che parte stia.

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