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Resistenza femminista contro la guerra

Accogliamo l’appello a diffondere il comunicato delle femministe russe che da alcuni giorni è stato pubblicato da diverse testate italiane e internazionali:

“Quello che segue è un appello delle femministe russe che si sono unite contro l’occupazione e la guerra in Ucraina. Il femminismo è uno dei pochi movimenti di opposizione nella Russia contemporanea a non essere stato devastato dalle ondate di persecuzione lanciate dal governo di Vladimir Putin. Al momento, diverse dozzine di gruppi femministi di base operano in almeno trenta città russe. In questo testo, le femministe che prendono parte a manifestazioni contro la guerra in tutto il paese invitano le femministe di tutto il mondo a unirsi per opporsi all’aggressione militare lanciata dal governo di Putin.”

Il 24 febbraio, intorno alle 5:30 ora di Mosca, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato un’«operazione speciale» sul territorio dell’Ucraina per «denazificare» e «smilitarizzare» questo stato sovrano. L’operazione era in preparazione da tempo. Per diversi mesi le truppe russe si sono spostate fino al confine con l’Ucraina. Nel frattempo, la dirigenza del nostro paese negava ogni possibilità di attacco militare. Ora sappiamo che si trattava di una menzogna

La Russia ha dichiarato guerra al suo vicino. Non ha concesso all’Ucraina il diritto all’autodeterminazione né alcuna speranza di una vita pacifica. Dichiariamo, e non per la prima volta, che la guerra è stata condotta negli ultimi otto anni su iniziativa del governo russo. La guerra nel Donbas è una conseguenza dell’annessione illegale della Crimea. Crediamo che la Russia e il suo presidente non siano e non siano mai stati preoccupati per il destino delle persone a Luhansk e Donetsk, e il riconoscimento delle repubbliche dopo otto anni è stato solo una scusa per l’invasione dell’Ucraina con il pretesto della liberazione.

Come cittadine russe e femministe, condanniamo questa guerra. Il femminismo come forza politica non può essere dalla parte di una guerra di aggressione e occupazione militare. Il movimento femminista in Russia lotta per i soggetti più deboli e per lo sviluppo di una società giusta con pari opportunità e prospettive, in cui non ci può essere spazio per la violenza e i conflitti militari.
Guerra significa violenza, povertà, sfollamenti forzati, vite spezzate, insicurezza e mancanza di futuro. Tutto ciò è inconciliabile con i valori e gli obiettivi essenziali del movimento femminista. La guerra intensifica la disuguaglianza di genere e mette un freno per molti anni alle conquiste per i diritti umani. La guerra porta con sé non solo la violenza delle bombe e dei proiettili, ma anche la violenza sessuale: come dimostra la storia, durante la guerra il rischio di essere violentata aumenta di molto per qualsiasi donna. Per questi e molti altri motivi, le femministe russe e coloro che condividono i valori femministi devono prendere una posizione forte contro questa guerra scatenata dalla leadership del nostro paese.

La guerra in corso, come mostrano i discorsi di Putin, è anche combattuta all’insegna dei «valori tradizionali» dichiarati dagli ideologi del governo, valori che la Russia avrebbe deciso di promuovere in tutto il mondo come missione, usando la violenza contro chi rifiuta di accettarli o intende mantenere altri punti di vista. Chiunque sia capace di pensiero critico comprende bene che questi «valori tradizionali» includono la disuguaglianza di genere, lo sfruttamento delle donne e la repressione statale contro coloro il cui stile di vita, autoidentificazione e azioni non sono conformi alle ristrette norme del patriarcato. La giustificazione dell’occupazione di uno stato vicino con il desiderio di promuovere norme così distorte e perseguire una «liberazione» demagogica è un altro motivo per cui le femministe di tutta la Russia devono opporsi con tutta la loro forza a questa guerra.

Le femministe sono una delle poche forze politiche attive in Russia. Per molto tempo le autorità russe non ci hanno percepito come un movimento politico pericoloso, e quindi rispetto ad altri gruppi politici siamo state temporaneamente meno colpite dalla repressione statale. Attualmente più di quarantacinque diverse organizzazioni femministe operano in tutto il paese, da Kaliningrad a Vladivostok, da Rostov-on-Don a Ulan-Ude e Murmansk. Chiediamo ai gruppi femministi russi e alle singole femministe di unirsi alla Resistenza femminista contro la guerra e unire le forze per opporsi attivamente alla guerra e al governo che l’ha iniziata. Chiediamo anche alle femministe di tutto il mondo di unirsi alla nostra resistenza. Siamo tante e insieme possiamo fare molto: negli ultimi dieci anni, il movimento femminista ha acquisito un’enorme forza mediatica e culturale. È tempo di trasformarla in potere politico. Siamo l’opposizione alla guerra, al patriarcato, all’autoritarismo e al militarismo. Siamo il futuro che prevarrà.

Chiediamo alle femministe di tutto il mondo:

– Di partecipare a manifestazioni pacifiche e lanciare campagne offline e online contro la guerra in Ucraina e la dittatura di Putin, organizzando le proprie azioni. Sentitevi libere di usare il simbolo del movimento femminista di resistenza contro la guerra nei vostri materiali e pubblicazioni, così come gli hashtag #FeministAntiWarResistance e #FeministsAgainstWar.

– Di diffondere informazioni sulla guerra in Ucraina e sull’aggressione di Putin. Abbiamo bisogno che il mondo intero sostenga l’Ucraina e si rifiuti di aiutare in alcun modo il regime di Putin.

– Di condividere questo appello con altre. È necessario dimostrare che le femministe sono contrarie a questa guerra e a qualsiasi tipo di guerra. È anche fondamentale far vedere che ci sono ancora attiviste russe pronti a unirsi per opporsi al regime di Putin. Siamo tutte a rischio di persecuzione da parte dello stato e abbiamo bisogno del vostro appoggio.

La resistenza femminista contro la guerra ha un canale Telegram con informazioni ulteriori (in russo).

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“Resistenza radicale contro l’invasione di Putin”

Pubblichiamo la traduzione di un’intervista realizzata da crimethink.com al “Comitato di Resistenza” di Kiev. Riteniamo importante dare voce allə compagnə che si trovano in questo momento sotto le bombe russe, al netto di qualsiasi arguta considerazione geopolitica.

 

“Abbiamo condotto un’intervista audio con un portavoce del “Comitato della Resistenza”, il gruppo di coordinamento anarchico appena formato in Ucraina. Indagheranno pubblicamente su ciò che gli anarchici stanno facendo e sperimentando in Ucraina qui . Abbiamo trascritto l’intervista mentre parlavamo.

“Il Comitato di Resistenza” è un centro di coordinamento che collega gli anarchici che stanno partecipando alla resistenza all’invasione in vari modi. Alcuni sono attualmente sul fronte; alcuni sono impegnati nel lavoro mediatico sulle condizioni sorte durante questa resistenza, nella speranza di chiarire la situazione in Ucraina a coloro che non ci sono mai stati e di spiegare agli anarchici altrove perché credono che resistere a Putin sia collegato alla liberazione. Il progetto si impegnerà anche in alcuni progetti di sostegno a ciò che resta della società civile ucraina mentre l’invasione procede – ad esempio, a Mariupol’, alcuni partecipanti hanno portato sostegno materiale al centro che ospita i bambini rimasti orfani a causa della guerra – e assisterà alcuni compagni nel in fuga dalla zona del conflitto, anche se “decine e decine” di anarchici e antifascisti partecipano alla resistenza.

A partire da ora, i partecipanti stanno osservando per vedere quali progetti di mutuo soccorso emergeranno a Kiev dagli sforzi della popolazione nel suo insieme e quali possono partecipare più efficacemente come anarchici.

La persona con cui abbiamo parlato si trova attualmente a Kiev; altri sono già partiti per partecipare alla difesa territoriale nelle regioni circostanti Kiev. A Kiev molte persone stanno lasciando la città, ma non ci sono stati bombardamenti aerei dalla mattina, quando l’aviazione russa ha attaccato obiettivi militari intorno alla città e ha colpito anche alcune aree abitative civili nelle città periferiche, tra cui Brovary, uccidendo decine di persone .

A Kiev l’atmosfera è tesa, ma in città non ci sono ancora combattimenti, solo gli attacchi aerei del mattino. Finora, gli anarchici non hanno subito vittime conosciute, ma stanno affrontando seri pericoli. È una situazione difficile, ma finora il morale dei partecipanti è alto.

La maggior parte dei partecipanti a questo progetto si aspettava che l’invasione iniziasse presto, in generale, ma non se l’aspettava oggi e non era del tutto preparata mentalmente. In effetti, hanno pianificato e preparato per mesi, ma ora stanno scoprendo tutto ciò che è rimasto incompiuto nei loro preparativi. Tuttavia, nel corso di incontri frettolosi, hanno messo insieme questo progetto di coordinamento.

Il portavoce ha descritto il loro obiettivo immediato: non è proteggere lo stato ucraino, ma proteggere il popolo ucraino e la forma della società ucraina, che è ancora pluralistica, anche se lo stesso stato ucraino è neoliberista e uno stato nazionale con il nazionalismo e tutto il resto cose terribili che ne derivano. “La nostra idea è che dobbiamo difendere lo spirito di questa società dall’essere schiacciati dal regime di Putin, che minaccia l’intera esistenza della società”.

Facendo una panoramica indietro rispetto a quell’obiettivo immediato, il portavoce ha affermato che sperano di affrontare l’aggressione militare russa promuovendo al contempo prospettive anarchiche sia all’interno della società ucraina che in tutto il mondo, per dimostrare che gli anarchici sono coinvolti in questa lotta, che si sono schierati in essa, non con lo stato, ma con le persone che sono state colpite dall’invasione, con la società delle persone che vivono in Ucraina.

“Non è esagerato dire che l’intera popolazione sta affrontando l’invasione. Certo, alcune persone stanno fuggendo, ma qualsiasi forza che abbia un qualsiasi investimento nello sviluppo politico di questo luogo in futuro deve essere dalla parte della gente qui in questo momento. Vogliamo fare qualche passo avanti verso l’essere in contatto con le persone qui su scala più ampia, verso l’organizzazione con loro. Il nostro compito a lungo termine, il nostro sogno, è diventare una forza politica visibile all’interno di questa società al fine di garantire una reale opportunità per promuovere un messaggio di liberazione sociale per le persone”.

In risposta all’affermazione che “l’intera popolazione sta affrontando l’invasione”, abbiamo chiesto se ciò includesse le persone nelle “repubbliche”, la Repubblica popolare di Luhansk [LPR] e la Repubblica popolare di Donetsk [DPR], le regioni dell’est Ucraina che è stata occupata dalle forze separatiste armate e finanziate dalla Russia dal 2014, che Putin ha appena riconosciuto come “indipendente”.

“Sinceramente”, ha risposto il portavoce, “ho poca prospettiva sulle persone nelle cosiddette repubbliche; Ho vissuto qui solo per diversi anni” – essendo cresciuto in un paese vicino – “e non sono mai stato a sud-est. È vero che ci sono stati alcuni conflitti sulla lingua e le persone di estrema destra locali hanno esacerbato questi conflitti inutilmente e gravemente. Per questo nelle ‘repubbliche’ abbiamo visto alcune persone sventolare bandiere di stato russe per accogliere le truppe, anche se questa ‘indipendenza’ significherà il contrario, significherà essere totalmente sottomessi a Putin. Allo stesso tempo, vicino alle trincee, dall’altra parte delle linee di battaglia, abbiamo visto migliaia di persone sventolare le bandiere nazionali dell’Ucraina. Anche questo non ci piace, come anarchici, ma significa che le persone sono pronte a combattere, che sono pronte a difendere la propria indipendenza non solo come stato ma come società”.

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Ucraina 2022 – La frittata è fatta

L’elefante russo è entrato nella cristalleria e comincia a sbriciolare ciò che incontra sui suoi passi.

Chi ha spinto l’elefante nella cristalleria?

La crisi Ucraina data, ormai, dal 2012 quando un primo movimento progressista, denominato rivoluzione arancione, cercava di riformare il regime esistente. Nel 2014 un movimento nazionalista sbaraglia sia le pretese di riforma che quelle di restaurazione.

A seguito dell’insediamento del nuovo governo, inviso a Mosca, iniziano le frizioni russo-ucraine e, dal 2014, si apre il fronte del Donbass, regione russofona del sud-est ucraino.

Le riforme del 2012 prevedevano la richiesta dell’adesione dell’Ucraina alla UE; movimento fortemente sostenuto dall’atlantismo europeo con il conseguente allargamento a est dell’influenza della NATO. Il golpe della piazza (Maidan 2013) spazza qualsiasi istanza libertaria imponendo un regime nazionalista con una forte repressione nei confronti soprattutto dell’opposizione sociale (uno dei movimenti più interessanti del periodo era l’Unione dei Lavoratori Autonomi).

L’insurrezione del Donbass scalda gli animi della sinistra individuandone l’opposizione al governo reazionario instauratosi a Kiev. Errore madornale di analisi e prospettiva: il movimento russofono del Donbass era (ed è) del tutto speculare al nazionalismo ucraino contrapponendosi con altrettanta foga nazionalista al regime di Kiev.

In quella fase e fino ad oggi, la destra europea ha giocato un ruolo significativo in questo teatro.

Il governo di Kiev era sostenuto dalla rete di “Radio Free Europe” (organo del congresso USA funzionante dai tempi della guerra fredda) che in funzione anticomunista associava le peggiori schiere dei servizi europei all’Internazionale Nera.

Di contro la rivolta del Donbass sostenuta dall’autocrazia russa veniva appoggiata dalla destra nazionalista “latina”. Il ruolo della Lega di Salvini fino ad Alba Dorata, in quella fase era determinante.

Putin operava attraverso Alexandr Dugin, “filosofo” del nazional-bolsceviamo e del suo progetto euroasiatico che tanto piace ai fascisti. Il legame fra Dugin e la destra latina passava proprio dall’Italia e da quel Luca Morisi che coordinava la cordata interna alla Lega la quale, passando da Borghezio, Savoini, Murelli associava i nazionalisti padani a tutta la galassia fascista italo-greco-spagnola.

(cfr. I demoni di Salvini, di Claudio Gatti, ed. ChiareLettere 2019).

Quindi non è forzato considerare che sulla pelle delle popolazioni dell’est europeo si giochi una partita fra nazionalisti atlantisti e nazi-fascisti euroasiatici.

Ci è toccato vedere anche recentemente l’associazione fra istanze sedicenti antifasciste e associazioni come Eurasia diretta emanazione del governo di Putin, governo che si caratterizza tra l’altro per una dura repressione dei movimenti LGBTQ+, addirittura vietando i Pride ed emanando una “legge contro la propaganda gay”.

E’ la vecchia questione delle derive rosso-brune in funzione antiimperialista di cui abbiamo, negli anni, trattato. Vale la pena ricordare che non vi sono prospettive di liberazione e emancipazione dentro uno schema politico-militare che scelga il male minore (quello che appare il male minore) e il nemico-del-mio-nemico come alleato.

Saremo anche vetero ma abbiamo sempre tenuta alta la bandiera dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori che inneggiava “l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi o non sarà”.

Quindi, tornando alla retorica domanda iniziale, come si è prodotta questa crisi?

E’ evidentemente uno scontro interimperialistico. Sono patetiche le considerazioni di Putin circa l’autocrazia Ucraina e le radici storiche di questo paese legate alla Russia zarista e sovietica.

Primo, gli autocrati Ucraini non hanno nulla da invidiare agli autocrati Russi. Che poi gli autocrati ucraini siano controllati dal FMI è un fatto.

Secondo, la storia dell’Ucraina affonda nella lotta per l’autonomia da Mosca. Un forte movimento popolare e rivoluzionario insorse contro lo zarismo, sconfisse le guardie bianche ma fu soffocato dal tradimento delle guardie rosse. Per chi conosce la storia il movimento della makhnovicina è lì a smentire le bugie di Putin.

Opporsi alla guerra è necessario, schierarsi con le fazioni in lotta è suicida.

Contro tutte le guerre, contro tutti gli eserciti, contro tutti i confini e contro tutti i fascismi.

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Iniziativa in ricordo di Tekoşer “Orso”

Sabato 19 febbraio alle 17 al GRAF in piazza
Spadolini 3

Lorenzo Orsetti, “Orso” per gli amici, è partito da Rifredi, quartiere di Firenze, per combattere al fianco dello YPG ed è caduto a Baghuz, in Siria, mentre combatteva l’ISIS il 18 marzo 2019

Lorenzo era un ragazzo di trentatré anni che ha deciso che non poteva più ignorare una delle più imbarazzanti sconfitte politiche, umane, sociali e culturali del mondo occidentale contemporaneo: la questione curda. Ha combattuto al fianco di un popolo che lotta ancora oggi lotta per libertà propria e quella di
tutti ponendosi come ultima linea difensiva nei confronti del fanatismo religioso.

«Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, egualianza e libertà. Quindi nonostante questa prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio. Vi auguro tutto il bene possibile e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche quando tutto sembra perduto e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano
insormontabili, cercate di trovare la forza e di infonderla nei vostri compagni. È proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve. E ricordate sempre che “ogni tempesta comincia con una singola goccia”. Cercate di essere voi quella goccia.
Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole.
Serkeftin!
Orso,
Tekoşer,
Lorenzo»

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Sabato 12, mobilitazione antifascista

In vista della fiaccolata di commemorazione delle Foibe, invitiamo tuttə ə singolə e le realtà antifasciste bolognesi a ritrovarsi in presidio al giardino norma cossetto alle 15:00.
Fuori i fascisti da Bologna!

Bologna antifascista

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Ai partigiani Bolognesi i fascisti non fan paura

Ci giunge notizia di una grave intimidazione ai danni di alcuni studenti antifascisti nel corso della serata di ieri.

Esprimiamo tutta l nostra solidarietà nei loro confronti e tutto il nostro disprezzo per chi fa della violenza e della sopraffazione il proprio modo di vita, in una parola: fascisti.

Nessuna tregua, nessun perdono

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[BO] Sabato 12/02, Ancora le foibe?!

Anche quest’anno i neofascisti ci ripropongono la loro “fiaccolata della memoria” che partirà dal giardino Norma Cossetto alle 17.30 con cui intendono commemorare i «martiri delle foibe».

Abbiamo avuto già diverse occasioni per parlare di quel momento storico in vari articoli di questo blog, ad esempio qui e qui.

Nel 2004 il centrodestra ha istituito, per bilanciare la Giornata della Memoria (il 27 gennaio, in ricordo dello sterminio nazifascista di circa 6.000.000 di ebrei), una mistificante «Giornata del Ricordo» (il 10 febbraio, in memoria dei presunti eccidi delle Foibe: 326 vittime accertate, 6.000 vittime ipotizzate, ma finora senza concrete prove storiografiche). E il messaggio ignobile e semplicistico che i postfascisti volevano far passare era che due torti fanno una cosa… meno sbagliata…

Certo è che oggi il «ricordo» manipolato delle Foibe non è pietà verso i morti, ma una strumentalizzazione unilaterale volta solo a rivalutare storicamente l’esperienza della dittatura fascista, screditando la Resistenza partigiana, mettendo sullo stesso piano nazifascisti e antifascisti, sfruttando tragici episodi del passato per riscrivere la storia in modo parziale e fazioso.

Invitiamo tutte le forze Antifasciste al massimo livello di sorveglianza e mobilitazione

Fascisti: eya eya alla larga!

[Aggiornamento]

Segnaliamo l’iniziativa di OSA di cui potete trovare i dettagli qui

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17 dicembre giornata internazionale contro la violenza sullə sex worker

Condividiamo il video del collettivo Mujeres Libres e il comunicato di lancio dell’iniziativa a supporto dellə sex workers
I muri di Bologna parlano e ci dicono che il lavoro sessuale è lavoro e va riconosciuto in quanto tale, decriminalizzato e destigmatizzato. Ci vediamo venerdì per ribadirlo nelle piazze!
17 dicembre giornata internazionale contro la violenza sullə sex worker.
☔Il 17 dicembre, nella giornata internazionale contro la violenza sullə sex worker, scenderemo in piazza dell’Unità in presidio dalle 18:30.
🔥Scendiamo in piazza per opporci alla violenza maschile, razzista, omolebobitransfobica, misogina, istituzionale che si abbatte sullə sex worker.
🔻Per troppo tempo le mobilitazioni e rivendicazioni dellə lavoratrici sessuali sono state considerate marginali nella lotta transfemminista, perciò scendiamo in piazza affinché questa data sia considerata da tuttə una giornata fortemente politica.
🔻Il periodo della sindemia ha visto e vede ancora alcune categorie di lavori, quelli sommersi e non riconosciuti dallo stato, senza aiuti. Tra questi c’è anche quello sessuale che oltre a non essere riconosciuto viene fortemente stigmatizzato lə sex worker subiscono infatti una forte discriminazione e spesso sono costrettə a nascondersi questo lə porta a lavorare in condizioni di forte rischio. Lo stato per lə sex worker non prevede alcun sostegno, eppure dá ampia possibilità ai sindaci di addizionare restrizioni tramite il mezzo delle ordinanze, ad un lavoro che seppur non vietato esplicitamente dalla legge viene da questa fortemente scoraggiato.
✊🏽✊🏻Scendiamo in piazza perché vogliamo che al lavoro sessuale venga riconosciuta la stessa dignità di altri lavori.
Scendiamo in piazza per tuttə le sopravvissute al sistema infame della tratta.
Scendiamo in piazza per chiedere molto più della legge Merlin, in un’ottica di superamento dell’abolizionismo e per la decriminalizzazione del lavoro sessuale.
🎤Dalle 18:30 microfono aperto
🔻Se qualcunə volesse fare un intervento e non se la sentisse di esporsi può scriverci alla mail: viazambonifemminista@inventati.org e lo leggerà unə compagnə.
☔PORTA UN OMBRELLO ROSSO CON TE ☔
Ci saranno dei banchetti con materiali e vin brulè il cui ricavato andrà benefit a sex worker in difficoltà.

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Gli Ultras ai tempi della pandemia

Perchè gli Ultras possono essere un argomento di discussione per una forza antifascista tesa all’intervento sociale e politico nei territori?

Per rispondere a questa domanda andiamo indietro di oltre un anno. Siamo a Roma, nei pressi del Circo Massimo. E’ sabato 6 giugno 2020 e i “Ragazzi d’Italia” chiamano ad una grande parata neofascista, facendo appello e proselitismo tra le curve italiane: siamo appena usciti dalla prima parte della pandemia e slogan come “dittatura sanitaria” o “io apro” entrano nelle piazze e nelle chiacchiere da bar (all’aperto..), insieme alla voglia di “riprendersi la nazione”.

Quella del 6 giugno del resto non è la prima o l’unica iniziativa fascista in campo: nella stessa giornata è previsto il sesto atto delle Mascherine Tricolori di Casapound. Forza Nuova invece è già schierata con il negazionismo complottista della prima ora. Il covid è un inganno della plutodemocrazia, ma all’interno del partito di Fiore nel mentre si consuma un regolamento di conti che porta alla scissione e alla nascita della Rete dei Patrioti.

L’indizione del raduno romano trova – casualmente? – sponda anche nei media, la Repubblica in testa, tanto da obbligare decine di curve da nord a sud a redigere comunicati e striscioni con cui prendono distanza in maniera chiara da un raduno definito a tutti gli effetti come politico, e non Ultras.

Per onor di cronaca quella giornata non verrà poi ricordata dai camerati come un grande successo di piazza, tutt’altro. Castellino, responsabile romano di FN, si guadagna la scena prendendo a pizze in diretta tv Simone Carabella, personaggio cittadino con un curriculum politico che spazia dal PD a FdI passando per M5S ed MSI; ne segue un parapiglia che culmina nel lancio di oggetti verso i giornalisti. La giornata si conclude con un comizio lampo, bassa partecipazione e mal di pancia non del tutto digeriti tra gli organizzatori. E anche oggi, insomma, niente rivoluzione.

E gli Ultras? In larga parte si sono appunto sfilati da questo appuntamento, ribadendo l’apoliticità dei propri direttivi e di molte curve. Ma non è un caso se i promotori della manifestazione del 6 giugno chiamano alla mobilitazione invocando l’identità ultras.

Già durante la prima parte della pandemia gli Ultras sono stati tra i corpi sociali più lucidi nel capire il dramma che stavamo vivendo; utilizzando la loro capacità di mobilitazione molti gruppi sono riusciti a distinguersi per iniziative di solidarietà, raccolte di cibo e indumenti, striscioni di ringraziamento e solidarietà fuori dagli ospedali. Hanno saputo sfruttare il proprio bagaglio di aggregazione sociale per rispondere, in maniera organizzata, ad un periodo storico di emergenza. Tra le tante iniziative messe in campo, l’esempio più eclatante è senz’altro la costruzione dell’ospedale da campo di Bergamo, in cui gli Ultras dell’Atalanta hanno giocato un ruolo determinante. Forse con questa mossa i neofascisti cercavano un ulteriore scatto di agibilità all’interno dell’ambiente delle tifoserie?

Nel mentre, quando tutti i campionati sportivi erano ancora fermi, il sistema calcio è stato l’unico a poter chiedere ed ottenere la ripartenza, per salvaguardare le esigenze di pay tv e procuratori: uno spettacolo indecoroso, l’ennesimo, a cui il “calcio moderno” ci ha ormai da tempo abituati.

Per tutta risposta molti gruppi ultras europei, italiani in testa, hanno fatto sentire la loro voce, scrivendo un importante comunicato unitario: stopfootball – nofootballwithoutfans. Le tifoserie organizzate si schieravano apertamente contro la ripresa del campionato, ribadendo la propria contrarietà al rientro allo stadio: questo dovrà avvenire a emergenza conclusa, possibilmente con la reintroduzione della capienza al 100% degli impianti.

Alla ripresa dei campionati la linea dura e intransigente del o tutti o nessuno inizia a presentare le prime crepe; con l’apertura degli impianti al 50% alcuni gruppi scelgono di entrare, la maggior parte soppesa la decisione e decide di rientrare quando la capienza viene estesa al 75. Nel mentre altri gruppi si prendono una pausa di riflessione, altri ancora continuano decisi nella scelta impopolare di non entrare, non per questo rinunciando all’impegno sociale e ad altre iniziative.

Qui non centrano le mobilitazioni sul greenpass: la stragrande maggioranza dei tifosi, e degli Ultras, ha aderito alla campagna vaccinale e per molti identificare la certificazione verde come un “nefasto strumento repressivo” stona un po’.

Le curve degli stadi sono da più di 30 anni laboratorio d’eccellenza nella sperimentazione e applicazione delle misure liberticide più assurde e sofisticate (senza dimenticare la gran palestra fatta dai reparti celere, testimoniata per altro da molti fatti tragici). Coltivate nell’ambiente del tifo organizzato prima, esportate nel contesto politico, sociale e cittadino dopo, misure come il DASPO, l’arresto in flagranza differita o l’utilizzo dei lacrimogeni CS sono certamente gli esempi più eclatanti che rievocano un vecchio adagio, tanto caro a molti gruppi ultras attivi contro la repressione: “OGGI PER GLI ULTRAS, DOMANI IN TUTTA LA CITTA’”.

Eppure, una certa sinistra da salotto – ma anche di movimento – ha spesso giudicato in maniera approssimativa e non approfondita il complesso ed eterogeneo mondo Ultras. Paragonarlo ad un’informe selva di fascismi dimostra di non saper cogliere il valore aggregativo, umano e sociale delle curve.

E i fascisti? Anche e sopratutto su questo hanno campato, e in diversi casi proliferato, insieme al lento ma inesorabile nulla che avanza.

Ad oggi una quota sempre maggiore di gruppi ultras si è spostato a destra; da Lealtà e Azione, a Fortezza Europa, passando per il Veneto Fronte Skinheads, FN e CP, ognuno di questi gruppi può dirsi più o meno radicato nel mondo delle tifoserie organizzate. La curva di una stadio rispecchia le dinamiche di una città e il processo di infiltrazione e radicamento delle formazioni neofasciste ha potuto godere in molti casi della complicità e tolleranza di alcune Questure, spesso rigorose nell’applicare una repressione ingiustificata e spropositata nei confronti delle realtà Ultras più scomode e controcorrente, a prescindere dalla loro reale “pericolosità”. Pericolosità invece ben rappresentata in alcune curve dal connubio in essere tra estrema destra, imprenditori, criminalità e mafia.

A questo punto c’è forse da chiedersi se l’unione tra polizia, repressione di stato, maghi, politica e squadracce non possa presto o tardi diventare un mix difficilmente sopportabile, non solo all’interno degli stadi e delle curve – o per meglio dire, di quello che ne è rimasto – ma anche nelle mobilitazioni di strada, nell’atteggiamento della società e nel poter salvaguardare la capacità di leggere e agire sul presente in maniera critica e propositiva.

L’allerta antifascista rimane alta!

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A Roma saremo marea!

Il 27 Novembre 2021 il movimento transnazionale e tranfemminista Non una di Meno tornerà per le strade di Roma con la sua marea di amore e rabbia per la Giornata Internazionale contro la Violenza Maschile sulle Donne ( 25 novembre) e la violenza di genere.

Una marea che, dopo lo stop causato dalla sindemia, scende in piazza per la quarta volta (la prima è stata nel novembre 2016), composta da collettvi tranfemministi, centri antiviolenza, lavorator* e operaie in lotta, donne migranti, reti di insegnanti per un’educazione liberatria e di genere, collettivi e associazioni lgbtq+, movimenti e associazioni di soggettività trans, sex worker, associazioni anticarcercerarie, gruppi in difesa di ecologia e territori, associazioni per il diritto alla casa, reti per l’autodeterminazione della salute e l’autogestione dei consultori, gruppi antifascisti intersezionali e per la rivoluzione sociale ma anche mediche, avvocate, giornaliste. Il comune denominatore che tiene uniti movimenti così diversi è il riconoscere nella violenza patriarcale una violenza sistemica e strutturale che, in modi diversi e a discrezione dei privilegi che si hanno o non hanno, colpisce tutti e in tutto il mondo, in primis donne, soggettivitè lgbtqa+, migranti e sex worker; la strategia è l’intersezionalità di queste lotte, partire dai bisogni e dai desideri per renderli terreno di conflitto politco allargato e dilagante ma anche di dare voce, forme e sostanza alla rabbia di fronte ad uno stato di cose; anche per questo si definisce marea.

Lo stato di cose da cambiare, purtroppo, non è nuovo perché strutturale e su questo Non Una di Meno nel 2017 ha scritto un piano: “Abbiamo un piano. Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere”; tuttavia la Sindemia ha rivelato come questa situazione strutturale è evidente e in realtà, lo Stato e le ammnistrazioni, attente alle quote rosa quando serve, non ne tengano conto, neanche in una situazione di emergenza (figurarsi quando l’emergenza non c’è, verrebbe logico da dire). Infatti con l’avvento della Sindemia il 99% dei disoccupati sono donne e cittadini non italiani , chi non ha perso il lavoro ha subito un peggiormaneto delle condizioni di lavoro, per esempio nella logistica e nell’e-commerce con la richiesta di turni di lavoro massacranti che non tengono conto di nulla ma si legittimano davanti al ricatto della bossi–fini (come ci raccontano le compagne della Yoox), le chiamate al 1522 sono aumentate del 119% perché sono aumentte tutti i tipi di violenza (fisica, psicologica, economica, sessuale, aggressioni per strada) nonostante le iniziali difficoltà ad accedere al servizio dovendo stare chiuse in casa spesso con l’aggressore, alcuni ospadali hanno tagliato servizi essenziali tipo l’interruzione volontaria di gravidanza nonostante l’alto tasso di obiezione di coscienza, i consultori di quartiere e le associazioni di primo soccorso e mutuo aiuto costrette a chiudere per mancanza di fondi e impossibilitate a sostenersi e finanziarsi. Neanche di fronte a questo è venuto in mente alle istituzioni di prendere in mano quel piano. I centri antiviolenza non hanno ricevuto dei fondi in più, nessuna donna licenziata o con un lavoro in nero ha ricevuto reddito, gli alloggi per chi non ha casa o le strutture per le vittime di violenza non sono aumentati, chi subisce violenza ed è in un percorso di fuoriuscita continua a dover vivere con 400 euro. Eppure Non Una di Meno, tra le sue richieste, sono anni che chiede un reddito di autodeterminazione incondizionato (insieme a molte altre cose che trovate sul piano).

In questo stato di sindemia, l’unica resistenza possibile è stata l’organizzazione dal basso: sex workers che organizzano raccolte fondi per altre sex workers (soprattutto vittime di tratta), lo stesso da parte di collettivi queers verso rifugiati e non lgbtqa+, i centri sociali (tra l’altro chiusi) per le famiglie e i migranti, le transfemministe che si occupano di fornire un supporto telematico per l’acesso all’ivg. La risposta dal basso e la solidarietà è stata l’unica risposta attiva e concreta tuttavia non è sostenibile sostituire un servzio d emergenza a lungo tempo se nella “normalità” non posso autogestirlo. Infatti nella normalità quello che fa lo stato e le amministrazioni è di sgomberare i tentativi dal basso di consultorie autogestite, di scoraggiare e non sostenere case di accoglienza per persone trans, di far fuori tutto quello che non sia una prestazione a pagamento, sia questa fatta dentro un consultorio o dentro un centro sociale con uno sportello autogestito. La marea transfemminista scende in piazza anche per questo, per essere contenitore di lotte e di rabbia di fronte non solo allo stato nazione ma ad uno stato di cose.

La rabbia di uno stato di cose dove in Italia nel 2021 ci sono stati ad oggi 103 femminicidi con un’incremento sia generale sia di quelli compiuti dal partner, mentre nel mondo sono morte ammazzate 375 persone transgender e non conforming, di cui il 58% erano sex worker e il 43% migranti.

Uno stato di cose che non è in Italia, ma nel mondo, un mondo che sembra andare indietro, in molti sensi, rispetto alle conquiste fatte. Infatti mentre nel 2021 la Turchia esce dalla Convenzione di Istanbul, la Polonia (anch’essa in corsa per uscire dalla convenzione) nel 2020 approva una modifica di legge che rende accessibile l’aborto solo in caso di violenza sessuale, incesto e pericolo di vita, l’Ungheria rende obbligatorie a scuola materie basate sul genere suddivise in maschili e femminili sotto lo statuto di “educazione alla famiglia”, l’Italia permette a comuni e regioni la delibera per l’ingresso di personale cattolico e movimenti antiabortisti in luoghi laici come gli ospedali, i consultori, i cav. In questo stato di cose, gli argomenti comuni sono il ripristino totale del valore della famiglia tradizionale e impedire ogni tentativo e messa in discussione di questi principio, la stessa famiglia tradizionale ritenuta da pubblici dati il primo luogo di femminicidi e violenza.

L’altro argomento comune è la solita e solida alleanza con le destre e i neofascismi. È un caso che si vada indietro nelle conquiste delle lotte da parte delle minoranze mentre i neofascismi prendono spazio e cercano di organizzarsi attraverso discorsi populisti e alleanze con gruppi cattolici più e meno potenti? NO. Purtroppo sappiamo chi sono Erdogan e Orban, sappiamo quanto sia cattolica e nazionalista la Polonia e che le giunte che favoriscono l’ingresso degli antiabortisti nei luoghi pubblici sono quelle di Lega e Fratelli d’Italia oltre ai soliti gruppuscoli. Sappiamo come antifascismo e antisessismo sono insieme, o non saranno! Per questo saremo il 27 per le strade di Roma, concentramento ore 14.00 Piazza della Repubblica, e ogni giorno accanto Non una di Meno e il movimento transfemminista.

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