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«Irrocu» contro CasaPound

In quest’estate «in sicurezza» – tra stragi in mare e in autostrada, funerali di Stato, scaricabarile, concause, selfie, razzismo e nostalgie del Ku Klux Klan con il progetto di legge per «estendere la legittima difesa» e per «liberalizzare la vendita delle armi» – almeno alle ronde nere di CasaPound contro gli abusivi non è andata tanto bene…

Cinque neofascisti in pettorina rossa hanno provato a cacciare gli ambulanti stranieri da una spiaggia sarda, ma, come in altri casi, la gente ha reagito prendendo le difese dell’invasor… Però qui un gruppo di anziane donne sarde ha avuto modo di scagliare un pesante irrocu (maledizione) contro CasaPound:

«Sos ladros sezzis bois, male ki bo potha falare komo ki lu so nende. Mirade de bo k’andare komo komo però, ki si jamamus a maridos nostros bos impallettana a culu, bruttos buccallotoso! Bazi comente andada sa kijina, bazzi! E unu raju bo pothada accumpagnare sempre!»

Traduzione:

«I ladri siete voi, male che vi colga esattamente ora che lo pronuncio. Badate di sloggiare immediatamente, se no chiamiamo i nostri mariti a impallettarvi le chiappe, brutti decerebrati! Andate via, come va la cenere, andate, e che un fulmine vi possa accompagnare sempre».

Abituati a negare l’evidenza sempre e comunque, quelli di CasaPound hanno cercato di smentire l’accaduto:

«Tutto falso, quella storia è totalmente inventata. Nessuna ronda, nessuna cacciata dei nostri militanti. Stiamo valutando anche se ci sono gli estremi per una querela».

E intanto a Biella si prepara una mobilitazione contro CasaPound.

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«La notte vince sempre sul giorno…»

È morto Claudio Lolli, una voce ribelle e antiborghese, una persona che non ha mai smesso di denunciare l’oscurità, il razzismo e il fascismo di questi anni.

Nel mentre, davvero la notte vince sul giorno

A Cologna Veneta un giovane 28nne che indossava una maglietta con lo slogan «Nord Est Anti Fascist» è stato circondato e aggredito da alcuni ragazzi che, dopo averlo picchiato, gli hanno strappato la t-shirt di dosso.

Ad Aprilia ancora spari dalle finestre sui migranti. Un giovane africano è stato colpito al piede da un 19enne e due minorenni.

A Partinico un branco di una quindicina di persone ha inseguito e picchiato cinque giovani migranti al grido «Negri di merda, vi ammazziamo». Prima gli insulti a sfondo razziale, poi l’aggressione in spiaggia con i bastoni e infine l’inseguimento in auto e un secondo pestaggio.

A Lamezia Terme un cittadino dominicano sposato con un’italiana è stato buttato fuori da un ristorante al grido di «Negro di merda, risali in macchina e vai via che qui in Calabria i negri non sono accettati». Poi in sette lo hanno preso a sprangate sotto gli occhi della moglie.

A Bologna, in via Sant’Isaia, due commercianti bengalesi sono stati malmenati e bastonati da tre individui che hanno gridato insulti come «negro di merda» e si sono dichiarati «fascisti».

A Bologna, negli anni scorsi, queste squadrette di picchiatori razzisti gravitavano nell’area di Forza Nuova e nel 2012 fu un cameriere del Pratello a porre fine alle loro aggressioni e sevizie. Non le «forze dell’ordine», né gli «appelli democratici»…

È quella stessa teppaglia neofascista che la Lega ha portato in Piazza Maggiore l’8 novembre 2015 a fare il saluto romano e gridare slogan offensivi dinanzi al Sacrario partigiano.

È sotto gli occhi di tutti che anche la Lega bolognese si è sempre distinta per svariate forme di propaganda xenofoba e di istigazione all’odio razzista. Per la leghista Rossella Ceriali migranti e profughi sarebbero «escrementi», «feccia» e «merde» da prendere a «bastonate» e bruciare nei «forni». Per la leghista Mirka Cocconcelli bisogna «usare un disinfestante chimico» contro gli abusivi. Poi c’è la costante propaganda xenofoba dell’Umberto delle Bufale

Per noi, in genere due più due fa quattro. E la dirigenza leghista e pentastellata è oggi, di fatto, il mandante morale di intimidazioni, aggressioni e omicidi razzisti.

Ma non c’è notte così nera che duri per sempre e che non possa essere illuminata dai fuochi della contestazione e della rivolta.

Questo è l’amore ai tempi del fascismo… Canticchieremo le tue canzoni sulle barricate!

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Forse l’ora del Grande Troll durerà poco

Nel clima abietto e avvelenato di questi mesi forse c’è anche un bicchiere mezzo pieno. Da una parte, finalmente, un partito che non era mai davvero esistito come il PD è scomparso e nessuno lo rimpiange, tanto che qua e là le cricche locali cercano di riciclarsi in gialloverde… Dall’altra parte, i partiti neofascisti e neonazisti come CasaPound e Forza Nuova sono stati ampiamente superati a destra dal «governo del cambiamento», e paiono oggi del tutto obsoleti, tanto da restare con le mani in mano e lasciare l’attività squadrista a minorenni annoiati e patiti di soft air

È l’ora del Grande Troll. Sembra un fascista, anzi vuole passare da fascista, ma è solo l’ultimo prodotto tossico del cinismo e del marketing postberlusconiano. Ha detto bene Alessandra Daniele su Carmilla:

«Se qualcuno cita Mussolini, sventola fucili, e invoca censimenti razziali, dargli del fascista NON lo danneggia. Perché lo è, e ci tiene a sembrarlo. Confermare l’immagine che qualcuno vuol dare di sé non è il miglior modo per combatterlo. Ciò che invece bisogna evidenziare è quello che di sé cerca di nascondere, e far dimenticare. Salvini è un pollo d’allevamento, esattamente come Renzi».

Non a caso, mentre a Genova si tiravano fuori ancora corpi dalle macerie, Salvini festeggiava il ferragosto abbuffandosi in un ristorante di Messina al riparo da tivù e selfie… «Prima gli italiani!».

Senza dubbio, serve a poco gridare al fascismo solo a parole e la cosa non è nemmeno credibile visto che ci hanno già provato il PD di Renzi & Minniti e l’altra pessima sinistra di D’Alema & Grasso. L’ipocrisia del potere è equamente diffusa a destra e a manca e, come nota qui Sebastian Bendinelli, il lungo sdoganamento bipartisan del Ventennio è diventato ormai, batti e ribatti, senso comune:

«Il punto è che denunciare queste forze politiche come fasciste, come a volerne smascherare l’ipocrisia, non funziona; e lo stiamo vedendo chiaramente in Italia – dove peraltro il termine ha perso gran parte della sua valenza peggiorativa dopo anni di sdoganamento e normalizzazione del regime mussoliniano».

Certamente il veleno sversato ovunque dalla Lega potrebbe essere anche letale e il fatto che il fascismo di Salvini sia un gadget in plastica non vuol dire che i suoi effetti degradanti non possano essere di lungo periodo, come nota ancora Sebastian Bendinelli:

«Ma il trolling non è senza effetti: oltre a solleticare una certa parte dell’elettorato leghista, le continue sparate sui social network o nelle interviste servono a spingere al centro del dibattito idee, linguaggi, atteggiamenti che fino a pochi anni fa non sarebbero stati accettabili».

A questo proposito, Fintan O’Toole ha parlato di trial run, ossia di test o prove tecniche: non essendo possibile applicare da un giorno all’altro un’agenda politica fascista dopo decenni di democrazia formale, è necessario condurre dei test graduali, alzando la posta in gioco fino a forzare i vincoli sociali e morali che determinano l’accettabilità di certi provvedimenti. Ed è un meccanismo che ha a che fare più con il marketing che con la politica.

Non basta certo la categoria rassicurante, sfuocata e ingannevole di postfascismo proposta ora da Enzo Traverso nei Nuovi volti del fascismo a rendere comprensibile un quadro sfuggente e ad elaborare strategie efficaci di resistenza.

Non pare probabile che possa essere efficace usare gli stessi sistemi comunicativi di Salvini.

Se ad esempio, imitando Salvini, Matteo Renzi si mettesse una t-shirt con il simbolo delle BR e in ogni talk show alzasse la mano a P38, forse potrebbe riscuotere un ampio consenso popolare di tweet e di selfie, e sarebbe certo all’altezza del suo personaggio, ma non produrrebbe affatto più libertà, più fratellanza e giustizia sociale.

Anzi, proprio il costante supporto del marketing alle politiche autoritarie ci fa capire una cosa. C’è un comitato d’affari della classe dirigente che ricorrerebbe a qualsiasi cosa pur di garantirsi più profitti: al fascismo, al neoliberismo, allo stragismo, al postfascismo, alla democrazia, ai piani quinquennali, al trolling

C’è un solo modo per tenerli a bada perché la smettano di opprimere, devastare e uccidere. Fare danni.

Forse l’ora del Grande Troll durerà poco. A ben riflettere, l’attuale governo non ha né idee né progetti concreti, ma fomenta e cavalca le paure, gli egoismi e i risentimenti di un paese impoverito, confuso, violento, ipocrita, sull’orlo ormai di uno sfacelo civile senza ritorno. È qui, nel punto più basso, che comincia la battaglia e anche la speranza di un avvenire diverso. Come cantava Claudio Lolli, forse dobbiamo cominciare ad assomigliare «al più grande di noi, / l’eroe che si rallegra della guerra vicina».

Ora e sempre resistenza!

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Genova, un’altra strage

Quella di Genova non è una catastrofe naturale. Era un rischio noto da anni. Per produrre simili disastri non basta la «sfortuna». Ci vogliono istituzioni che usano la parola «sicurezza» sempre e solo per diffondere paura e razzismo, e null’altro. Ci vuole uno Stato che promuove l’affarismo delle «grandi opere», e non considera le persone altro che come numeri buoni per riempire le statistiche.

Un tempo le stragi le facevano i fascisti. Adesso, per intimidire e spaventare, bastano l’incuria, il cinismo e le leggi dello Stato. Ci sono le stragi in mare. Ci sono le stragi sui treni, come a Viareggio, ad Andria, a Pioltello… Ci sono i ponti crollati, come quello della statale 36 Milano-Lecco, della A14 a Osimo, della tangenziale di Fossano in provincia di Cuneo…

Tanto i viadotti non crollano mai sulle case dei ricchi.

Il cordoglio delle autorità è grottesco. Qualsiasi dichiarazione ufficiale è un oltraggio malamente travestito da pietà. Fanno affari sulla nostra pelle ed è tutto in regola, fino a quando non troveremo la forza, l’intelligenza e la determinazione di scardinare le loro regole.

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Nessuna foglia di Fico sul 2 agosto!

Aggiornamento. Ci eravamo portai i fischietti, ma credendo che il Presidente della Camera non venisse, ce ne siamo andati dalla piazza dopo il minuto di silenzio per non ascoltare il sempre pessimo discorso del sindaco Merola. Pensiamo che, se la strage è di Stato, i rappresentanti dello Stato non dovrebbero avere alcun diritto di parlare in piazza il 2 agosto. E se lo Stato ha intralciato e intralcia tuttora la verità, è sempre giusto e doveroso fischiare le loro parole vuote e i loro ininterrotti depistaggi.

Nella notte del 2 agosto 1944 furono 2.897 le donne, uomini e bambini rom e sinti dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau ad essere sterminati nelle camere a gas. Era l’ultimo atto della ribellione di 5.000 rom e sinti cominciata il 16 maggio 1944. La rivolta degli «zingari» ad Auschwitz-Birkenau, insieme a quella degli ebrei del 1943 nel lager di Sobibor, furono gli unici episodi di resistenza attiva e organizzata all’interno dei lager nazisti.

Soltanto nell’ottobre 2012 è stato inaugurato a Berlino il Memoriale dedicato ai rom e ai sinti uccisi nei lager nazisti. Tra 220mila e mezzo milione di rom e sinti finirono infatti la loro esistenza nei campi di concentramento. Ci sono voluti oltre sessant’anni perché in Europa un qualche monumento li ricordasse.

Oggi, nella ricorrenza del 2 agosto, rom e sinti saranno a Roma in piazza Montecitorio dalle 14 alle 18 per contrastare la violenta campagna d’odio antizigano promossa in Italia dalla destra leghista e neofascista.

«Abbiamo richiesto un incontro al Presidente della camera Roberto Fico, il quale ancora non ha risposto», ha detto ieri Dijana Pavlovic, attivista per i diritti dei rom e tra le promotrici dell’iniziativa.

Nel frattempo, Roberto Fico si è rammaricato di non poter raggiungere Bologna per intervenire dal palco di piazza Medaglie d’Oro nell’anniversario della strage neofascista del 2 agosto 1980, essendo trattenuto a Roma…

Esperto nell’uso del condizionale («Io i porti non li chiuderei») e nei giochi d’equilibrio, Roberto Fico è l’ennesimo volto nuovo dell’ipocrisia del potere e, come tutti gli altri, non sa prendersi nemmeno qualche fischio…

Ora e sempre resistenza!

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I dolcetti del Führer

A Bologna un riccone che affittava su Airbnb le sue ville «di pregio» fra i verdi colli di Bologna ha visto cancellato il proprio account per essersi rifiutato di rimuovere alcuni oggetti con immagini di estrema destra, considerati inaccettabili dopo la denuncia di una turista statunitense offesa da quegli oggetti e da un quadro dell’artista Marcus Harvey.

Era il 1995 quando Marcus Harvey fece epoca esibendo ritratti giganti di serial killer, rilanciando il vecchio triste trucco dell’arte come provocazione a freddo, incapace di suscitare emozioni e neppure disgusto o turbamento, ma solo di ottenere recensioni e clamore mediatico. E in quegli anni la provocazione a freddo divenne il metodo di un celebre collettivo underground bolognese subito sponsorizzato dai media

Nel 2014 Marcus Harvey finì col dipingere la serie «The Führer Cakes», «I dolcetti del Führer». Un quadro rappresenta la collezione di cucchiaini da thè di Mussolini. Un altro Hitler circondato dalle cime dei monti e dai pasticcini bavaresi. Uno la governante di Hitler. Un altro la divisa del Führer. E uno se lo comprava il riccone, appendendolo in una delle sue ville…

Intanto i guadagni ottenuti con Airbnb hanno portato a un costante rincaro degli affitti e chi non ha abbastanza soldi – studenti, lavoratori, disoccupati, pensionati, famiglie – viene espulso dal salotto buono della città dove ogni centimetro dello spazio pubblico e privato deve essere messo a profitto.

C’è qualcosa di emblematico in questa storia. Ma non sapremmo dire bene che cosa. Forse che l’epoca dell’ironia è passata. E che il sorriso dell’indifferenza è già complicità con la violenza e l’orrore.

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Un’estate di fascismo quotidiano

Un tempo il centrosinistra diceva che il razzismo si nasconde nelle piccole cose.

I governi cambiano, ma le stesse politiche ostili alla libertà di circolazione delle persone continuano e si aggravano sempre di più.

E continua anche la connivenza dei governi con gli interessi di quelle aziende italiane che in Africa – e non solo – fanno affari, profitti e violenze: ENI, Ipregilo, Ferrero, Finmeccanica…

Anzi è proprio questo lo sfondo economico delle politiche italiane ed europee che hanno accompagnato la recente riemersione del razzismo in tutte le sue forme.

Ora, dopo anni di allarmismi faziosi e bipartisan su invasioni e sbarchi, dopo anni di titoli di giornali per rappresentare la realtà della migrazione nel segno del pericolo e dell’emergenza, dopo anni di politiche dell’accoglienza caratterizzate da un razzismo istituzionale più o meno esplicito, dopo gli interminabili tempi di attesa per la valutazione delle richieste di protezione internazionale, dopo il degrado di centri d’accoglienza per lo più sovraffollati, isolati, fatiscenti e che, nella loro esplicita volontà di gestire i migranti, non fanno altro che promuovere forme di infantilizzazione e dipendenza delle stesse persone che pretendono di aiutare, dopo anni di tutto ciò, e come se tutto ciò non fosse bastato, ecco che un ulteriore gradino viene oltrepassato.

Le persone costrette a migrare – i migranti come si usa chiamarli – sono diventati esplicitamente dei bersagli.

Da qualche mese non si smettono di contare gli episodi di proiettili sparati e andati a segno ferendo e uccidendo uomini e donne di colore. Solo negli ultimi giorni, proprio mentre Mattarella simbolicamente commemorava gli «80 anni dal manifesto della razza», a riprova che se le razze non esistono, il razzismo invece è ben vivo, ecco che uno sparo colpisce un elettricista di origine capoverdiana in provincia di Vicenza mentre era su un ponteggio; la caccia a un presunto ladro si trasforma nell’omicidio di un uomo di origine marocchina in provincia di Latina; a Rimini viene aggredita una donna incinta al grido «Negra di merda, ti facciamo abortire»; e a Moncalieri un lancio di uova dall’auto ferisce all’occhio un’atleta della nazionale italiana, rea di avere genitori di origine nigeriana e dunque la pelle nera.

No, in Italia il razzismo non si nasconde nelle piccole cose: il razzismo è invece un insieme di discorsi e pratiche che riunisce le vecchie divisioni del bel paese, da nord a sud. Non dimentichiamo infatti l’episodio di qualche giorno fa a Palermo, dove un altro uomo di origine africana è stato aggredito

Ma quando dalle parole discriminatorie si passa alle pratiche di violenza razzista, la violenza che da un essere umano colpisce un altro essere umano rende l’atto nella sua banalità estremamente chiaro: si chiama fascismo, fascismo del quotidiano.

Prende forma attraverso leggi che istituzionalizzano discriminazioni e divisioni tra esseri umani; attraverso logiche e discorsi che non fanno che rendere invisibili le umanità delle persone costrette a migrare, trasformandole in un nuovo – e antico – capro espiatorio. E prende poi corpo attraverso i gesti dei tanti che ora si sentono legittimati a premere il grilletto.

Consapevoli che il ministro degli Interni, quando non è impegnato a fare shopping nei siti di CasaPound e affini (vedi qui e qui), quando non si comporta come un influencer di CasaPound o non cita il Duce, è dietro la scrivania a scrivere leggi per tutelare chi preme il grilletto o a promuovere nuovi lager etnici e violazioni al diritto d’asilo. E i suoi seguaci intanto danno l’esempio tirando fuori la pistola

Ma si sa, il razzismo si nasconde nelle piccole cose, e sembrerebbe sempre un problema degli altri. Dicono. Una cosa passata, una cosa da celebrare.

NO. Oggi come ieri, il fascismo si camuffa e assume mille volti: e sono questi gli stessi volti cui è possibile opporre Resistenza. E la resistenza, oggi, prende la forma delle mille strade e possibilità con cui è possibile e necessario esprimere solidarietà alle persone colpite dalla violenza fascista e dal razzismo istituzionale.

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Un Orco vile e ipocrita per commemorare il 2 agosto

Sarà il sottosegretario ai trasporti e alle infrastrutture Michele Dell’Orco a presenziare alla commemorazione per la strage neofascista del 2 agosto 1980 in rappresentanza del governo.

Uno che – bocciato alle ultime elezioni per il M5S – ha come solo titolo di merito il fatto di avere recitato qualche battuta nel teatrino sulla chiusura dei porti o sulla TAV che «non ci piace, ma va migliorata».

Uno che non ha nulla da dire né sulle stragi di stato in mare, né sulle torture di stato in Libia, né sui morti sul lavoro, né sul business devastante delle «grandi opere». Le sole parole che sa ripetere a pappardella sono sicurezzalegalità:

«La sicurezza è un punto importante del nostro programma e vogliamo innanzitutto 10.000 nuove assunzioni nelle forze dell’ordine e nuove carceri per dare ai cittadini più sicurezza e legalità».

Lo diceva già Anatole France che «la legalità è quella cosa che in modo imparziale proibisce ai ricchi così come ai poveri di dormire sotto i ponti, mendicare per le strade e rubare il pane».

Ora e sempre resistenza!

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E in Germania avanzano i bio-nazi vegani…

Fra il Mar Baltico e le verdi colline della Pomerania anteriore, i nazisti fondarono nel 1926 la «Lega degli Artamani», o «Protettori della Zolla», il cui motto era «Fedeli serviamo la terra nel grande morire e divenire». L’obiettivo era di isolarsi dalla corrotta Repubblica di Weimar, rendersi autosufficienti, costruire un’élite völkisch germanica e antisemita, e cacciare i lavoratori stranieri. Volevano prepararsi al Terzo Reich. Ne facevano parte gerarchi delle SS del calibro di Heinrich Himmler o il futuro comandante di Auschwitz, Rudolf Höss.

Ora il bio-nazismo è tornato di moda. I «bio-nazi» vegani avanzano in Germania e prendono di mira l’halal islamico. Non solo la supremazia della razza ariana, l’odio per gli ebrei, il culto di Adolf Hitler, l’imposizione di gerarchia e disciplina. Adesso i nazisti tedeschi stanno riscoprendo anche l’importanza del cibo biologico e addirittura della dieta vegana, come armi da utilizzare anche nella lotta contro quelli che ritengono essere i nuovi nemici della Germania, i musulmani. In un intervento su «Politico» Irina Dumitrescu dell’Università di Bonn ha raccontato questo nuovo fenomeno in crescita nel paese: le comunità dei cosiddetti «bio-nazi». Capelli lunghi, visi sorridenti, cibo «naturale», ecologia rune e svastiche… Qui un riassunto in italiano.

In Italia i «bio-nazi» sono soprattutto a Caidate, in provincia di Varese, dove qualche centinaio di nostalgici di Hitler vivono organizzati militarmente. È la Comunità militante dei Dodici Raggi – i raggi del Sole nero sono il simbolo del castello tedesco di Wewelsburg, sede operativa delle SS – che è a tutt’oggi la più numerosa e organizzata comunità neonazista italiana. Pure loro «servono la terra», ma hanno anche un sito web molto trendy e finanziatori molto generosi… Vedi qui e qui e qui.

Parlano sempre della «plutocrazia mondialista», ma amano il marketing e il merchandising… E il capobanda è Alessandro Limido che fra il 2002 e il 2006 si era trasferito nella rossa Bologna per organizzare una «comunità» assai poco bio di picchiatori razzisti metropolitani…

Eia eia alla larga!

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Tra pulizia etnica e repressione, Afrin langue sotto l’occupazione militare turca

Riceviamo e condividiamo un aggiornamento sulla situazione di Afrin. Ora più che mai bisogna rompere il silenzio.

TRA PULIZIA ETNICA E REPRESSIONE, AFRIN LANGUE SOTTO L’OCCUPAZIONE MILITARE TURCA
di Gianni Sartori

La denuncia proviene da GfbV (Gesellschaft fur bedrohte Wolker) associazione nota per i suoi interventi in difesa dei popoli minacciati. Si basa principalmente sulla relazione dell’esperto dell’organizzazione tedesca per il Medio oriente, Kamal Sido (originario proprio di Afrin).

Nel suo comunicato-stampa GfbV ha smascherato le atrocità compiute dall’esercito turco e dalle milizie mercenarie nella città di Afrin sotto occupazione. Segnalando anche l’interdizione della lingua curda, una sistematica politica di arabizzazione e di forzata islamizzazione.

Mentre Trump e Putin discorrevano amabilmente a Helsinki del conflitto siriano (e di come spartirsene le spoglie), nella regione curda occupata il loro sodale Erdogan procedeva nell’opera di quello che eufemisticamente viene definito “cambiamento demografico”. Ma visti i metodi adottati (eliminazione fisica, espulsione…) si dovrebbe parlare semplicemente di pulizia etnica nei confronti della popolazione caduta sotto il giogo delle truppe di Ankara.

Scomparsi ogni simbolo e ogni scritta curdi e – ovviamente – vietate le lezioni in lingua curda nelle scuole, viene gradualmente imposta anche la sharia. Mentre le donne non osano più uscire senza il velo, si nota la diffusa presenza di uomini con lunghe barbe e anche di donne coperte dal burqa.

Per yazidi e alawiti (considerati alla stregua di “eretici”) è diventato praticamente impossibile continuare a vivere in tale contesto. Scomparsa anche la piccola comunità cristiana (un migliaio di persone) che abitava in città.

I dati raccolti da militanti curdi indicano come soltanto nelle prime due settimane di luglio siano avvenuti oltre 120 sequestri di persone e almeno sette uccisioni, oltre a decine di saccheggi nei confronti delle proprietà e dei campi dati alle fiamme. Quanto alle proprietà curde, vengono regolarmente confiscate e consegnate a coloni arabo-sunniti.

Nella prima settimana di luglio il Dipartimento giuridico del soidisant Consiglio locale di Afrin – messo in piedi dalle forze di occupazione – ha emesso un ordine per cui tutti gli abitanti dovranno sottoporre a tale Dipartimento ogni loro atto di proprietà immobiliare. Verrà quindi esaminato e sottoposto a procedure legali (di conferma o di esproprio dell’immobile, si presume).

E questo nonostante gran parte degli abitanti di Afrin siano ancora – di fatto – dei desplazados (profughi interni) provvisoriamente collocati nei campi di Shahba, Aleppo, Kobane e Al Cazira. È facilmente prevedibile che gli oltre 250mila curdi che hanno dovuto lasciare Afrin, non avranno più alcun titolo per reclamare i loro beni.

Per l’avvocato Khaki Ghbari un paragrafo di questo nuovo regolamento sarebbe particolarmente ambiguo e pericoloso, anche se confrontato con l’analoga legge n° 10 emessa dal regime siriano per consentire l’esproprio dei beni degli espatriati. Questa legge almeno garantiva all’interessato un adeguato lasso di tempo per fornire prove in merito alle sue proprietà.

Ma in fondo – dal punto di vista della violazione dei Diritti umani – questa è solo la “punta dell’iceberg”. E infatti Khaki Ghbari aveva chiesto ufficialmente l’applicazione delle norme per garantire protezione internazionale agli abitanti di Afrin, in quanto la città curda sarebbe “sottoposta a una pericolosa occupazione da parte di militari, mercenari e terroristi”.

Dal 18 marzo, da quando la regione curda nel nord della Siria è stata invasa dall’esercito turco e dalle milizie islamiste, più di tremila curdi sono stati sequestrati e di oltre settemila non si hanno notizie, tanto da poterli ormai considerare desaparecidos. Bisogna poi considerare come in numerose famiglie che hanno già subito aggressioni prevalga il desiderio di anonimato per evitare ritorsioni e ulteriori violenze.

Come è noto, con l’esercito turco nella regione curda sono approdati, a decine di migliaia, gli islamisti radicali arabi in veste di coloni. Pesantemente armati, godono della copertura di Ankara nella loro opera di terrorismo (uccisioni, torture, saccheggi…) nei confronti della popolazione civile curda. Metodi e stile che ricordano – sia detto per inciso – quelli delle milizie cristiano-maronite (integrate da neofascisti europei, anche italici) all’epoca dell’invasione del Libano da parte di Israele nel 1982, conclusasi con i massacri di civili nei campi profughi dei palestinesi. Stessa copertura da parte dell’esercito regolare, stesso lavoro sporco appaltato ai mercenari.

Gianni Sartori

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